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La vera storia di Paola Concia tra maschere e capelli bianchi

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All'iniziogiochi a nascondino con te stesso e con gli altri. Ma non è un gioco piacevole: la penitenza è la pubblica gogna, o almeno questo è quello che ti fanno credere. Poi cambi pelle. È il momento della rivelazione». Nel suo aperto e appassionato «La vera storia dei miei capelli bianchi», Paola Concia in tandem con la giornalista Maria Teresa Meli racconta con sincerità il suo percorso verso il «coming out», la dolorosa doppiezza di quel «prima» e le difficoltà e gli ostacoli del «dopo», ma anche la possibilità di combattere le battaglie a viso aperto. Dai Dico al disegno di legge contro l'omofobia e transfobia fino alle discusse campagne contro il razzismo e la violenza sulle donne, Paola Concia (deputata Pd e unico parlamentare italiano dichiaratamente omosessuale) si muove in politica con una pratica orgogliosamente femminile, fatta di intuito, inventiva e capacità di dialogare anche con chi la pensa in modo molto diverso da lei. Con un obiettivo chiaro: costruire, in Parlamento ma soprattutto nel Paese, uno schieramento e un tessuto sociale disponibili a condividere le nuove battaglie sui diritti civili. Diritto alla felicità che spesso è tutt'altro che riconosciuto, tanto che il matrimonio oltre frontiera della Concia con la sua compagna Ricarda ha fatto clamore, sollevandole contro l'aspra critica di promuovere modelli contrari alla morale e ai valori della famiglia. Eppure, nel ripercorrere gli anni che l'hanno portata alla maturità conquistata e serena dei suoi capelli bianchi, l'autrice racconta esattamente l'opposto, svelandoci un'infanzia e un'adolescenza assolutamente normali, vissute in una famiglia cattolica e tollerante, dove più di ogni cosa è sempre contato il rispetto delle opinioni altrui. Cresciuta a «pane, libertà e rigore» in una piccola cittadina di provincia dell'Abruzzo, sposatasi in gioventù con un uomo per desiderio di normalità, per poi divorziare e risposarsi lo scorso anno con Ricarda fuori dalle leggi italiane, con la sua storia personale e pubblica la Concia ci riporta alle contraddizioni stesse del nostro Paese, ai suoi sorprendenti spazi di libertà e autonomia di pensiero e d'azione, ma evidenzia anche quel groviglio di ipocrisia, convenienze e pregiudizi che ancora pervadono molti ambienti. Nell'introduzione viene citata una frase di David Cameron, primo ministro del Regno Unito, che dice: «A chiunque nutra delle riserve sul matrimonio gay dico questo: sì, è una questione di uguaglianza, ma anche di qualcos'altro: di impegno. I conservatori credono nei legami che ci tengono uniti; credono che la società sia più forte quando promettiamo di badare l'un l'altro. Ecco perché non sostengo la necessità dei matrimoni gay «nonostante» sia conservatore. Ma li supporto proprio in quanto conservatore». Paola Concia è nata ad Avezzano, in Abruzzo. Diplomata all'Isef e laureata in Scienze motorie, è maestra di tennis, sport che ha praticato a livello agonistico. Ha cominciato a interessarsi di politica alla fine degli anni Ottanta. Nel '96 è stata consulente per il ministero delle Pari Opportunità, nel '98 consulente per lo sport. Nel 2001 ha fatto «coming out» e ha cominciato la sua battaglia per i diritti civili. Nel 2008 è stata eletta parlamentare del Partito democratico. L'autrice si racconta senza reticenze, mettendo in evidenza paure e speranze di una vita vissuta in bilico per troppo tempo. «Scegliere significa anche separare la parte migliore da quella peggiore - scrive Paola Concia - In questo caso la prima è la tua natura. La seconda è la maschera che indossi per non discostarti dai modelli che la società ti impone, e che finisci per introiettare e fare tuoi, benché tuoi non siano per niente, perché non raccontano di te, ma di quella che dovresti essere per non apparire "diversa"». E più giù la confessione e il desiderio di parlare con gli altri. «Ne ho impiegati di anni per capire - conclude l'autrice - che, se volevo vivere bene, senza più attacchi di panico e aggressioni d'ansia, dovevo accettare la mia natura e sbarazzarmi della maschera. Per lunghissimo tempo, infatti, sono stata convinta che funzionasse al contrario, e così mi sono attenuta a questo schema distorto, piegando le mie voglie e violentando i miei desideri, nascondendo l'omosessualità quasi fosse un gatto rognoso la cui vista suscita disagio e raccapriccio. Non ho fatto un buon servizio a me stessa. Se ripenso adesso alla Paola d'allora, una corrente fredda mi sale su per la schiena, paralizzante e dolorosa. Mi sono imposta una vita che non era la mia».

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