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Bernardo Bertolucci «Adolescenza proibita tra eros e sentimenti»

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Questoil clou del film «Io e te» presentato a Cannes da Bernardo Bertolucci, tratto dall'omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti e da ottobre distribuito nelle sale da Medusa. Il loro incontro è davvero casuale e senza vie d'uscite, tutto si consuma in una cantina dove Lorenzo si è rinchiuso, dicendo a tutti, (genitori compresi) che sarebbe andato fuori per la settimana bianca con la scuola. In realtà la sua trasgressione è starsene chiuso in cantina, a coltivare le sue manie (da quella per la musica a quella per gli insetti) divorando merendine e succhi di frutta preventivamente comprati al supermercato. Tutto andrebbe alla perfezione se solo Olivia (Falco) non irrompesse là dentro con l'intento di disintossicarsi, perché lei nella vita ha sempre strafatto. Tra vomiti inevitabili per l'astinenza di lei, nudità legate alla loro sopravvivenza forzata, scoppia la voglia di ricominciare a vivere. Davvero. Bertolucci, cosa l'ha colpita del libro «Io e te»? «La presenza dei giovani, la loro capacità di sentirsi immortali e nello stesso tempo di essere terribilmente fragili. Gli adolescenti sono tutti a modo loro problematici, è tipico di quell'età ed è una cosa che mi commuove, si urla con i genitori, si fanno scene isteriche, proprio come quelle che vediamo nel film. E così, il protagonista adolescente decide di restare solo, ma alla fine viene travolto dalla furia della sorellastra». A distanza di nove anni dopo «The Dreamers» è tornato dietro la macchina da presa con un altro film sui giovani... «Penso di essere un arrested development. Per molto tempo ho creduto che non avrei mai più fatto un film e questa convinzione è nata nel momento in cui mi sono seduto su questa sedia a rotelle. Ho dovuto superare una forte depressione, elaborare questa sorta di lutto e poi è arrivata l'occasione, il libro di Ammaniti si prestava perfettamente allo scopo, visto che è ambientato in larga parte in un unico set. Quella cantina romana, tra il quartiere Prati e Parioli, è vicino casa mia». Perché il suo film, presentato al Festival di Cannes, non era in concorso? «Sono stato io a chiedere che non inserissero il mio titolo in competizione. L'anno scorso ho ricevuto la Palma d'oro alla carriera e tornare a Cannes in concorso avrebbe destato in molti delle critiche, mi avrebbero accusato di troppa voracità». Come ha scelto i due giovani protagonisti? «Jacopo mi è piaciuto subito, con questa chioma folta e lo sguardo puro. Tea era perfetta per interpretare un personaggio selvaggio e ribelle che facesse da grimaldello per smuovere a poco a poco Lorenzo verso il confronto con una realtà che ha sempre rifiutato di conoscere. Lo costringe a provare dei sentimenti. L'ho voluta fortemente anche per il marcato accento catanese: elemento, quello delle cadenze, che amo mettere in risalto tutte le volte che faccio un film in Italia». Per l'occasione ha rispolverato anche «Space Oddity» di David Bowie, cantata in italiano dal Duca Bianco su testi di Mogol... «Sì, ho chiamato Mogol per chiedergli come avesse fatto a sapere già nel '68-' 69 la storia di questo mio film». Cosa pensa della vittoria dei grillini nella sua città di Parma? «È la prima volta che i parmigiani mi sorprendono, sono sempre molto moderati e poco aggressivi, ma si vede che il sindaco che hanno cacciato li aveva esasperati».

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