L'eterno presente dell'arte
La nuova lezione di Vittorio Sgarbi: tutta la creatività è contemporanea
Piùche i capolavori appesi alle pareti dell'edificio barocco mi hanno meravigliato l'entusiasmo e l'attenzione da entomologo che i due fini esperti riservavano ai dipinti. Non celeberrimi, ma di nicchia. Sgarbi non staccava lo sguardo dalle tele, interrogandosi e interrogando sul quid di ciascuna, misurandola col suo tempo, la sua provenienza, la consapevolezza che se ne potesse dedurre oggi. Il sentimento verso l'opera, provato in quella occasione, è lo stesso che Sgarbi teorizza - da filosofo di estetica - nel suo nuovo pamphlet «L'arte è contemporanea». La sollecitazione dello studioso è appunto quella di sgombrare il campo dalle abusate categorie di antico, moderno, contemporaneo. E, nel campicello di quest'ultimo, dalla gara a chi fa vera avanguardia, chi innova di più, se l'artista figurativo o quello sperimentale. Non c'è arte del passato, perché un dipinto, una scultura sono attuali nel loro comparire hic et nunc dinanzi a noi. Anzi - incalza l'autore - la nostra rilettura, con conoscenze e sensibilità del tempo che viviamo, attualizza inevitabilmente l'opera. «Non c'è altro modo di essere contemporanei che essere qui e ora. Insieme alla contemporaneità di ciò che esiste, c'è la contemporaneità di ciò che è esistito e continua a vivere», spiega. Anche il suo essere insieme storico e critico dell'arte si salda. Dei capolavori antichi si fa esegesi e valutazione nel momento stesso in cui si inquadrano nello sviluppo diacronico, tra quelli che li hanno preceduti e che li hanno seguiti. L'altro spunto polemico è contro l'inaridimento della funzione critica, il rinserrarsi entro le quattro pareti di una galleria, l'esercitare con supponenza ma senza autorevolezza il mestiere del «curatore-manager»: il quale in sostanza si inchina al mercato e propone sempre e comunque i soliti noti o quelli che forze concentriche estranee all'universo onesto dell'arte fanno diventare famosi. Crocianamente Sgarbi difende la bellezza: «L'opera d'arte è, e basta. Così come la bellezza è. L'arte non ha bisogno di specialisti per essere capita». È facile così sostenere che «tutta l'arte è contemporanea e che contemporaneo non è un dato ideologico, ma cronologico». Ed è facile attribuire contemporaneità al Cristo Morto del Mantegna: «Definisce l'archetipo di una condizione umana, e come tale è davanti a me e non cessa di stupirmi. Ed è tanto incessantemente attuale, quindi contemporaneo, da echeggiare nella protratta attualità di un'immagine di cronaca - quindi lontana da ogni intento di omaggio voluto o di citazione consapevole - quale è la fotografia di Che Guevara morto». E pur vero che l'arte dei nostri tempi è moribonda, tranne alcune rarità esemplari. Sgarbi si inchina davanti alla ispirazione di un artista tanto appartato quanto autentico, Antonio Lopez Garcia. Il suo Hombre y mujer del 1968 ha la stessa forza, immanenza del Profeta Abacuc scolpito da Donatello cinquecento anni prima: «Entrambi gli artisti hanno l'intenzione caparbia di far vivere le loro opere, di sentirle presenti e reali, di carne e non di pietra o di legno». Altro, contrapposto discorso quello sulla star Maurizio Cattelan, magnificato Oltreoceano quanto in Italia. La sua non è la sbandierata «flagrante contemporaneità». Piuttosto nostalgia per quanto facevano le avanguardie storiche, ovvero provocare: «L'ansia di Cattelan è far parlare di sé», la sua necessità è «manifestarsi in una dimensione pubblicitaria». Del resto l'arte odierna è assai confusa, ondeggia alla ricerca di un ubi consistam. Si esprime per «tessere di mosaico che sono la pubblicità, il cinema, la tv, la decorazione». Insomma, non ha più firma ma griffe.