Ora le femministe se la prendono anche con la Crusca

Lodeduco dal fatto che nemmeno quelle, combattivissime, che ieri, a Firenze, hanno partecipato al convegno sul tema «Genere e linguaggio», promosso dall'assessorato Pari Opportunità di quel comune, hanno osato lanciare quella che a mio sommesso parere potrebbe presentarsi come la più giusta, elementare e decisiva delle rivendicazioni: la sostituzione del genere maschile col genere femminile per tutte le parole designanti cose belle e buone e del genere femminile col genere maschile per tutte le parole designanti cose brutte e cattive. Si potrebbe incominciare con «cielo» e «mare»: chi ha deciso che quelli sono maschi? «La ciela» e «la mare» sarebbero termini assai più graziosi. Anche «il paradiso» potrebbe essere rimpiazzato da «la paradisa». Ma il sostantivo al quale urge restituire il suo vero genere è quello che designa il sole. È ora che quel coso si rassegni a farsi chiamare «la sole». O, meglio ancora, «la sòla». «La sòla sorge ancora», «sòla che sorgi libera gioconda», «la sòla mia sta in fronte a te»: lo vedete come tutto diventa più poetico e solare? Le studiose del convegno fiorentino sono convinte che il linguaggio oggi in uso da noi non rispecchi i cambiamenti sociali apportati dall'accesso delle donne a nuove attività, professioni e posizioni istituzionali, dalla loro conquista di ruoli tradizionalmente occupati dagli uomini. «Il linguaggio – dicono – è un organismo vivo che continuamente si modifica e modificandosi può contribuire a creare una società diversa». «Per questo – aggiunge la professoressa Cecilia Robustelli, dell'università di Modena e Reggio Emilia, nonché accademica della Crusca – è importante usare e diffondere parole al femminile così come la lingua italiana prevede». Ragion per cui la signora Fornero, sebbene lei preferisca esser chiamata «il ministro», dovrebb'essere felice di esser detta «la ministra». Che cosa pensa sull'argomento il mio computer? Sembra che persino lui sia un pochino maschilista. Infatti, mentre mi passa «ministra», mi sottolinea in rosso «assessora». Dal che sembra potersi dedurre che il problema non sia grave e serio. Anzi nelle controversie che esso suscita si potrebbe vedere, addirittura, una forse troppo timida espressione dello spirito progressista e riformatore del nostro tempo. Esse lasciano invece intravedere un ben più gagliardo e generoso miraggio: la speranza che dalle nostre esistenze possano essere estirpate, finalmente, tutte quelle assurde coppie di termini differenziati che – come maschio e femmina, uomo e donna, cielo e terra, giorno e notte, bene e male, bianco e nero, vita e morte, sopra e sotto, e così via distinguendo e opponendo – ci costringono incessantemente ad aggirarci smarriti in quella foresta di simboli che è la realtà. Esse annunciano, inoltre, un vertiginoso sviluppo del sentimento poetico e religioso della vita. E per ciò stesso il definitivo passaggio dell'umanità dalla presente barbarie alla civiltà futura. Che sarà anche la prima commovente civiltà davvero umana della storia. Giacché veramente umani, anzi donneschi, potremo dirci solamente quando saremo riusciti ad afffibbiare a ognuna delle cose belle e buone dell'esistenza finalmente il nome femminile che le spetta, e a ognuna di quelle brutte e cattive il suo appropriato nome maschile.