di Lidia Lombardi Se la ride Alberto Sordi vestito da Marchese del Grillo.
S'affaccianole comari: «Ma ch'è morto il Papa? Ma ch'è scoppiata la guera? Ma ch'è straripato er Tevere?...». Din don, din don. Come nella canzone Cento campane che ancora esercita l'ugola di Lando Fiorini, nelle serate a Trastevere. Din don, come nell'Ave Maria Le campane di Roma che il pio Franz Liszt compose dopo l'ultimo soggiorno capitolino. Din don, ad annunciare elezione e morte di Papa Re, pestilenze, feste comandate, l'Angelus, il Vespero. Din don. Adesso i campanari sono specie estinta, i congegni elettronici fanno piovere le note dal cielo. Tra grandi e piccole, sono più di 1500 le campane capitoline, ma la corda si tira solo in un pugno di chiese, spesso di periferia, come San Giuseppe da Copertino, in via dei Genieri, alla Cecchignola, nella parrocchia della Trasfigurazione, in via Jenner, a Monteverde, in quella di San Ottavio, a Casal del Marmo. E però, come sono familiari, tocchi e batocchi. Un segnatempo per chi adesso non ha mai tempo e s'infastidisce al din don: è successo qualche giorno fa a un ignoto inquilino con casa all'ombra del Quirinale. Mica suoniamo noi, hanno detto i preti di Sant'Andrea e di San Carlo alle Quattro Fontane, quasi fossero una vergogna i rintocchi. Bei tempi quelli del dialogo immaginato tra le campane di tre carismatiche basiliche, all'ora di pranzo: «Avemo fatto li facioli, avemo fatto li facioli» canta quella di Santa Maria Maggiore. «Con che? con che? con che?», domanda quella di San Giovanni in Laterano. «Co' le cotichelle, co' le cotichelle», risponde la piccina di Santa Croce in Gerusalemme. Con una pacca sulle spalle ci sveglia la Giovannona, il soprannome della campana di San Paolo fuori le mura. Maestoso er campanone di San Pietro, che dondola grave, mentre accanto i campanini sfarfallano come angioletti. Un video su Youtube dell'inesausto Giacomo Carillon ne filma lo scampanio che ipnotizza. Ecco le nove campane di San Giovanni Bosco, ecco quelle di San Silvestro, ingabbiate dal campanile romanico. A Santa Maria Ausiliatrice, la chiesa neobarocca al Tuscolano, occhieggiano ai due lati della facciata, incastrate dalla coppia di campanili-torri. Istoriata quella di S. Maria in Aquiro, a piazza Capranica. Già, non solo acusticamente perfette, ma belle, molte campane. Realizzate nella storica fonderia Marinelli di Agnone, in Molise, come quella di San Paolo. O dalla famiglia capitolina dei Lucenti, dinastia in pista dal Rinascimento. La data 1550 e la loro firma sono incise sulla campana del Convento dei Cappuccini in via Veneto, famoso per il memento mori nella cripta assemblata di teschi. Ma fusero anche Chiacchierina, la campana vaticana delle prediche. Laica medievale la Patarina, in cima al Campidoglio. Più antica (1069) quella di San Benedetto in Piscinula, a Trastevere. Si salvò da Roberto il Guiscardo che razziò tutte le sue «colleghe» della Città Eterna. Con la stessa furia dei «demolitori» di oggi.