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di Paola Pariset Abruzzo: la terra che D'Annunzio amava, la terra dei Marsi, dei Piceni, dei Petrutii (donde Abruzzo), dei Romani e degli Svevi, degli Angioini, degli Aragonesi, dei Borbone.

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Atri,Hatria romana (o illirica?), è città romanica: né le ingenti rovine del macellum repubblicano, pavimentato in mosaico bicromo con soggetti ittici e l'immensa Cisterna, sottostanti il Duomo duecentesco, o il foro antico sotto Palazzo Ducale, valgono a rinverdirne la vocazione commerciale legata all'Adriatico e al traffico del pesce. Atri vive della terra e dei pascoli come nel Medioevo in cui rinacque libero Comune, e le chiese di S. Agostino, S. Domenico, S. Nicola, S. Andrea parlano una sola lingua, fatta di strutture pesanti, architravate e potentemente voltate: quella del Romanico dell'Italia centrale, che lascia poco posto al rococò della chiesa di S. Francesco, o di quella di S. Chiara, la cui facciata resta povera e immota, prendendo luce da una finestrina in alto. Il Romanico di Atri trionfa nella cattedrale duecentesca di S. Maria Assunta ed emerge dal passato nei quattro mostruosi anfibi adunghianti il piccolo fonte battesimale dell'edificio sacro, forse la scultura medioevale più antica della città. Le Porte urbiche sono tutte crollate tranne quella federiciana a sesto acuto presso S. Domenico, e il Palazzo trecentesco in pietra d'Istria - non nacque Atri dalle migrazioni degli Illiri? - di Andrea Matteo I° Duca d'Acquaviva (la famiglia più potente della città), nell'omonima piazza, guarda piuttosto al castello medievale che al palazzo signorile rinascimentale. Il Rinascimento penetra poco ad Atri: a Teramo affiora da uno stipite del '400 di Palazzo Melatino, che reca "Sapienti nihil est necesse", "A chi possiede la sapienza, null'altro è necessario", e la frase di Seneca mostra l'assimilazione piena dell'Umanesimo fiorentino. Ad Atri invece il Rinascimento conduce nella Cattedrale - greve di piloni romanici, sormontati da larghe arcate e campate gotiche del tardo duecento - il pittore Andrea Delitio, che nel 1460-65 affresca l'intera abside con un ciclo mariologico e cristologico animato dal descrittivismo (della bottega), ma culminante nei Santi dei piloni, ombreggiati in nicchie meravigliosamente scorciate, che sànno di Piero della Francesca e della sua Urbino. Poi, calanchi e boschi popolati di sparvieri, civette e gufi, di lupi e cinghiali, fanno da corona a frazioncine microscopiche, come Tre Ciminiere, tre casette col comignolo e una chiesetta (senza comignolo), dove le tacconelle di acqua e farina si condiscono con le voliche, spinaci selvatici del Gran Sasso. Questo è il mondo d'arte, di storia e di vita che tuttora scorre ad Atri accanto ad un non trascurabile turismo, e che il Comune - insieme con quelli di Teramo e di Castelli - vuol reimmettere con iniziative come la mostra nella Pinacoteca Civica teramana sulla "Ceramica di Castelli", nei circuiti culturali italiani.

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