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Fazio e Saviano inventano La Ruota della Sfortuna

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Alcentro sempre e comunque la lingua - in una cadenza teatrale e monologante: quello che fu declinazione di cronaca e racconto in Vieni via con me - andato in onda su Rai 3 nell'autunno 2010, in piena era berlusconiana - diviene elogio dell'assenza in Quello che (non) ho, su La7 (lunedì, ieri e stasera, alle 21.10) con la coppia Fabio Fazio e Roberto Saviano a rammentare che c'è una nostalgia delle cose che non hanno mai avuto un cominciamento. Certo, i tempi sono cambiati e siamo nell'era tecnica e della crisi dell'Europa ma le parole dimenticate e per questo abusate dall'oblio restano la chiave narrativa che dovrebbe scardinare il resto. Una cerimonia, insomma, sotto la regia sapiente di Duccio Forzano e immersa nella scenografia di ciò che resta delle Officine Grandi Riparazioni di Torino. Un rito, che prende il ritmo lento di una liturgia laica, che sale di minuto in minuto perché le celebrazioni (persino quelle religiose, figuriamoci televisive) funzionano per accumulo. Dal programma di Fabio Fazio, Che Tempo che fa, arriva in eredità la funzione aggregante del parlato, ora non più affidata alla presentazione di un libro o di uno spettacolo ma alla nudità dei vocaboli. È scritto anche nel Vangelo di Giovanni: "In principio fu il Verbo" e il verbo, nel format della coppia Fazio-Saviano, non è Dio ma la laicità dello scritto che diviene morto orale. Entriamo così nel monologo di Saviano che cita John Lennon e parla della crisi, riduce il visto all'osceno (cioè nascosto alla vista), per metterci in ascolto. Anni fa Giuliano Ferrara, che le ha cantate dure a Roberto Saviano, ironizzando sul suo programma di allora (anche quello su La7) Otto e mezzo, disse che si trattava di un programma radiofonico trasmesso in televisione. Anche Quello che (non) ho ha molto del radiofonico, ma i mezzi e il risultato sono diversi. Anzitutto il consenso di pubblico, gli ascolti per la prima puntata di lunedì sono stati ottimi, oltre 3 milioni di spettatori e il 12,66% di share, ma anche la natura televisiva che ha assunto, sin dal tam tam di prima del debutto, la natura dell'evento mediale. Pensato per la televisione, endogeno. Luciana Littizzetto poi, in questo racconto, ci ha sparso qua e là un po' di sana sapidità ma, a differenza del pensiero di Giuliano Ferrara o di un programma alla Michele Santoro, la coppia Fazio-Saviano resta sempre all'interno del politicamente corretto. Marco Travaglio e Gad Lerner, nella prima puntata, ne hanno incarnato, metaforicamente, assieme allo stesso Saviano, il confine estremo di libertà, anche loro però incastonati dentro la liturgia narrativa che incornicia le ore di trasmissione. La7, e questo riguarda il contesto editoriale, non si è neppure sognata di far dichiarazioni sugli inviti come invece successe, nel 2010, in Rai quando per Vieni via con me l'allora Dg della tv pubblica, Mauro Masi, ed il suo vice Antonio Marano scrissero a Paolo Ruffini (all'epoca direttore di Rai 3 ed ora a La7), allarmati dagli inviti a Bersani e Fini, chiamati nel programma a parlare dei valori della sinistra e della destra. Un episodio che creò attorno al programma un'atmosfera epica, da difesa della libertà, con i due politici che andarono in trasmissione e con Marano a sollecitare: "Allora invitate anche gli esponenti degli altri partiti". Altri tempi. Oggi, dopo aver visto la puntata del debutto, Quello che (non) ho dovrebbe vestire l'antitesi al ruolo assunto dalle parole nei quiz popolari (ricordate il programma di Mike Bongiorno, La Ruota della fortuna, in cui si compravano vocali o consonanti?), quasi che potesse esistere un programma alto e di grande pubblico, estraneo al volgare televisivo. Comunque vada, parlate in pace.

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