di Paola Pariset Ai piedi del Gran Sasso, la piccola Castelli divenne grande come Faenza o Deruta, Urbania, Gubbio, pareggiandone la produzione ceramica dalla fine del '400.
Aciò, la vicina Teramo dedica la mostra "Capolavori della maiolica castellana dal Cinquecento al terzo fuoco. La collezione Matricardi". Aperta nella Pinacoteca Civica, è iniziativa dei comuni di Teramo, Castelli, Atri affinché queste feconde terre, lontane dalle traiettorie culturali che contano, tornino a contare. Piccola infatti è Castelli, e la strada che porta a valle del massiccio costeggia boschi fitti di faggi e acacie vestite di bianco, che protendono i rami sorridenti, come braccia di spose. Piccola è Castelli, ma grande vi è l'Istituto d'Arte (oggi Liceo statale) "F.A.Grue", gloria del sindaco e ceramista Enzo De Rosa, immenso di vetrate luminose, di lavori di adolescenti straripanti di fantasia, del Presepe di 54 elementi a grandezza naturale esposto a Gerusalemme nel 1976, di collezioni storiche con le creazioni di Giò Ponti e non solo. Ed unica ormai a Castelli - vincolata dalla Soprintendenza - è l'antica fornace «a respiro» di Antonio Di Simone, dove la fiamma esce per aspirare ossigeno, e poi rientra (sistole/diastole) per 24 ore, con un uomo desto per controllare la cottura, che può essere anche a 'terzo fuoco', ossia accesa una terza volta per le rifiniture in oro, come nel Seicento. Nessuno sa delle difficoltà del ceramista, che dipingeva sull'ingobbio umido senza vedere nulla, perché i colori apparivano dopo la cottura, o che per la finezza del segno si sceglieva un solo pelo della coda dell'asino, o il baffo di un topo, sottili ma resistenti. E quando un pezzo non riusciva, si gettava nei «butti», da dove i Matricardi del momento li ripescavano, ricomponendo un originale, creduto perduto. Così sono nati i capolavori di Castelli, dal Rinascimento all'Ottocento, prima che la ceramica arretrasse dinanzi ai più sottili strati della porcellana, figlia del caolino che abbondava in Cina, ma non in Italia. Bellissima la targa col «Battesimo di Cristo» di Carlo Antonio Grue (1705): nel verde e arancio vibrano le foglie autunnali al vento (Matricardi scovò l'opera a Budapest). Palpitano di ori le «Allegorie della Forza» e «Allegoria della Carità», e stordivano i sensi le «turchine» (al lapislazzulo o al cobalto) del '500. Prima del declino nel XIX secolo, Gesualdo Fuina conquistò il rosso porpora nelle Ceramiche di Castelli, cuocendo una miscela di cloruro di oro e stagno a terzo fuoco: poi l'argilla cominciò ad arrivare da Firenze, i forni ad andare ad elettricità, fino all'automatizzazione completa del processo creativo. Ma la produzione continua a Castelli e la vita sa di antico, ossequiosa dei ritmi della natura. I Comuni del Teramano, in barba alla loro inesistente rete ferroviaria - in un Paese che tutto gioca sull'alta e schiacciante velocità - guardano al futuro puntato sulla loro ricchezza di sempre, perché "non c'è nulla di più nuovo di una via vecchia, la quale resti sempre nuova" (Camillo Pariset, poeta, 1930).