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di Antonio Angeli Eugenio Lo Sardo, direttore dell'Archivio di Stato di Roma, afferma che le ultime lettere di Aldo Moro sono ormai Storia.

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Nonsono solo «pezzi da museo». Scriveva Aldo Moro al presidente del Consiglio Giulio Andreotti, lettera recapitata il 29 aprile 1978: «Non sto a descriverti la mia condizione e le mie prospettive. Posso solo dirti la mia certezza che questa nuova fase politica, se comincia con un bagno di sangue e specie in contraddizione con un chiaro orientamento umanitario dei socialisti, non è apportatrice di bene né per il Paese né per il Governo...». Sì, questa è storia, e con la «S» maiuscola. Ma è anche la vita di noi italiani. Era l'aprile del 1978: Moro, rapito da un commando delle Brigate Rosse, la mattina del 16 marzo, scriveva a mano, con penne biro sempre diverse, su fogli di carta a quadretti strappati da bloc notes di cattiva qualità. Una lettera, indirizzata alla Dc, di lacerante drammatica intensità, su una carta migliore: dei fogli extra strong. Trentaquattro anni dopo, undici di queste lettere, acquisite dall'Archivio di Stato e restaurate dall'Istituto Centrale per il Restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, sono esposte al pubblico. L'iniziativa è partita ieri e proseguirà fino al 18 maggio nella splendida sala Alessandrina dell'Archivio di Stato di Roma. Le ultime lettere di Moro saranno oggetto di quattro giorni di incontri e dibattiti, partiti ieri e che proseguiranno fino a venerdì, organizzati in collaborazione con la prestigiosa Accademia degli studi storici Aldo Moro. Solo per oggi due di queste lettere saranno anche portate al Quirinale, in occasione della Giorno della memoria per le vittime del terrorismo e delle stragi. Tra queste c'è la lettera che lo statista scrisse al presidente della Repubblica di allora: Giovanni Leone. All'Archivio di Stato verranno organizzate poi, dal 14 al 18 maggio, visite guidate su prenotazione (chiamando lo 06 68190895-38-32). Un'occasione unica, visto che quelle 11 lettere rimaste per oltre trent'anni dentro ad una cartella del Tribunale di Roma e aggredite dal tempo, dai tarli, segnate da buchi e lacune, non erano mai state esposte al pubblico. Indirizzate tra gli altri alla Dc, all'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, ai presidenti di Camera e Senato Ingrao e Fanfani, le lettere restaurate e acquisite dall'Archivio di Stato fanno parte del corpus che era stato inserito dal Tribunale di Roma nel fascicolo del processo aperto dopo l'uccisione dello statista democristiano. Una dodicesima lettera, che faceva parte di quello stesso fascicolo, quella indirizzata a Bettino Craxi, fu a suo tempo restituita dal tribunale al leader socialista. Durato poco più di due mesi, ma preceduto da una lunga fase di studio ed analisi diagnostiche, il restauro realizzato dall'Icpal è stato accompagnato da un volume sull'intervento sulle lettere che raccontano i 55 giorni di prigionia di Moro. L'interessantissimo saggio «Conservare la memoria per coltivare la speranza - Le ultime lettere di Aldo Moro» è a cura di Maria Cristina Misiti, direttore dell'Istituto Centrale per il Restauro. Edito da Gangemi Editore, contiene i contributi di Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del Ministero dei Beni Culturali, di Paolo Fiore, presidente del Tribunale di Roma e Rossana Rummo, direttore generale degli Archivi del MiBAC. Alla presentazione di ieri era presente anche Agnese Moro. La vicenda dello statista assassinato 34 anni fa, il 9 maggio del '78, sarà pure Storia, sempre con la «S» maiuscola. Ma quando la signora Agnese parla del «suo papà», si prova una una stretta al cuore. Quelle lettere, le ultime di un uomo intelligente e colto, scritte durante una prigioni senza scampo, raccontano un'epoca, ma sono anche una testimonianza di incredibile valore umano. Raccontano il tormento di un padre e della sua famiglia, portano lo statista alla sua dimensione terrena, trasmettono il senso di una dignitosa e profondissima sofferenza. Fino alle estreme conseguenze. Il ministro dei Beni Culturali, Lorenzo Ornaghi, presentando ieri le undici lettere, ha detto che «ci aiutano molto a capire uno dei periodi più bui della Storia della Repubblica, per la comprensione della nostra storia, ma anche per poter guardare con coraggio al nostro futuro». Sono missive, ha aggiunto, che «toccano l'anima di ciascuno».

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