di Lidia Lombardi I vicoli s'allungavano tra gli orti, all'ombra del Pincio.
Devotie sbandati, popolani e prostitute. Facce perfette per una parte nei dipinti. Modelli inconsapevoli ma capaci di ispirare qualsiasi artista nella Roma meno aulica di fine Rinascimento, quando s'affaccia la pittura di genere, la poetica dei pitocchi. Via Margutta compare nelle mappe capitoline nella seconda metà del '500. Girava da queste parti Orazio Gentileschi, il violento padre della stuprata Artemisia. Nel secolo del Barocco le botteghe d'artista si moltiplicano, nell'Ottocento le modelle ciociare colgono i frutti turgidi e si offrono ai pittori. Un'aria ferma e lattiginosa. Una serra, via Margutta, con le vigne pesanti di grappoli. E strade che oggi, nel nome, ricordano le messi: via degli Orti di Alibert, vicolo dell'Orto di Napoli. In questo miscuglio agreste e raffinato, tra ceste di verdure e terrazze mondane sta l'unicità di via Margutta. Il compendio dei due poli è alla metà del budello appartato dalla bolgia di via del Babuino, dallo struscio coatto del Corso: ecco gli edifici coperti d'edera degli Studi di Pittura e Scultura Patrizi. Atelier a piano terra, stanze illuminate da finestre a parete. Si devono al mecenatismo di un marchese, Francesco Patrizi, che li costruì tra il 1858 e il 1883. Uno degli ingressi è al numero 54, con lo spiazzo coperto di ghiaia e gli atelier che si aprono tutt'intorno. Adesso ci sono spazi espositivi, in primis la Galleria Valentina Moncada di Paternò, che dei Patrizi è discendente nonché figlia dell'estroverso fotografo di mannequin, Johnny Moncada. Altre botteghe sono trasformate in camere d'albergo. L'atmosfera dei secoli passati è intatta nella salitina dietro gli atelier. Una viuzza pavimentata di sampietrini, proprio dove comincia ad alzarsi il Pincio, con la quinta bianco-grigia, lassù, di Villa Medici. Beh, una vecchia vite sbuca tra i selci e s'arrampica a coprire la pergola di un terrazzino. Gli abbaini di fronte sono occhi neri sotto le folte ciglia verdi dei rampicanti. Via Margutta, «patrimonio artistico di Roma e del mondo» come recita una targa, accende i riflettori grazie a Valentina Moncada, che ha scavato negli archivi del trisnonno ritrovando lettere e foto di quanti hanno passeggiato qui. Lee Bouvier, che ci portò la sorella Jacqueline, futura Mrs Kennedy, la chiamava «the sleepy little pink street». Gregory Peck e Audrey Hepburn ci girarono Vacanze Romane. Woody Allen la scorsa estate ha imbastito il set di Tho Rome with love. Fellini abitava al numero 110 e sulla soglia di casa rideva di Sordi Il tassinaro. Giulietta Masina faceva la spesa a via dei Greci, Luigi Ontani svariava nell'allegria di tableau vivant quand'era Carnevale. Picasso fu ospite degli Studi Patrizi. Un secolo prima Gogol portava a spasso qui il suo naso. Ora la strada degli artisti dove i flâneur sono gli stranieri che escono dall'Hotel Forte, che contano le foglie dei fichi selvatici, che sbirciano nelle vetrine - ahimè, dove sono finiti i romani veraci? - accende i riflettori. Con mostre-amarcord che insegnano molto.