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L'ultima lezione di coerenza

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Gianfranceschi affida ad «Aforismi del dissenso» l'elogio dell'onore e della fedeltà agli ideali

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Comeindomito cavaliere che non tentenna davanti alle insidie della vita, alle lusinghe di quel che conviene. E che non ha tremori di fronte alla morte, ché anzi il commiato - per lui cattolico romano - è prosecuzione e conferma, in un ordine superiore, delle certezze. Gianfranceschi, scrittore e giornalista ancorato per sempre ai valori della destra, è scomparso a febbraio 2012. Aspettava la morte come estremo atto di dignità, lui che tante volte si è scagliato contro chi la trattava schifiltosamente come un tabù, un turpe accidente da negare. E mentre le forze cedevano, le riservava a correggere, con l'amata figlia Michela, le bozze di questo «Aforismi del dissenso», ora uscito ne «I libri del Borghese». Il titolo dice bene dell'autore, raffinato intellettuale, tagliente saggista e polemista. Il motto breve e paradossale l'aveva già spesso praticato, Gianfranceschi. In «Lode alla Torre d'Avorio» (per rivendicare la volontà di appartarsi dalla volgarità del mondo), in «Elogio della Nostalgia» (per dire, come ribadisce qui, di essere «un reazionario, non un passatista: il mio sguardo è rivolto al futuro...»). Nel libro postumo rivela ancora di più i fari della propria vita. Tra i quali, oltre alle idee, gli affetti. «Tutto è perduto fuorché l'amore» è il sottotitolo del libro. La dedica suona «A chi amo. A chi mi ama». Ne esce il Gianfranceschi campione dell'«amore paterno» come sottolinea nella prefazione chi è stato suo discepolo nelle idee, Marcello Veneziani. È l'innamorato forever della moglie Rosetta ma anche il cultore della bellezza femminile, uno degli aspetti entusiasmanti del Creato («In certe voci femminili, in certe inflessioni, puoi ancora percepire che una volta la parola era canto». Oppure: «Malgrado gli anni, non rinuncio a tenere accesa la polarità uomo-donna»). E poi c'è l'innamoramento per Roma, che assurge a città per antonomasia di lui orgoglioso civis romanus, devoto di Sacra Romana Chiesa, cantore del Rinascimento, del Barocco, delle ruine. Sicchè è naturale che scriva «Roma è la mia musa». Ma non troviamo solo l'incantamento, in questi motti. C'è la propensione a riflettere, analizzare, polemizzare. Gianfranceschi non si scrolla mai l'attitudine che più ha praticato, quella del saggista. Per questo alcuni aforismi sono stranamente il contrario di quel che dovrebbero essere, ovvero lunghi. Li troviamo soprattutto nella seconda sezione del libro, intitolata «L'invisibile» e nella quale si interroga spesso su Dio, la Fede («Il Paradiso è più misterioso di Dio. Fatti a sua immagine e somiglianza, sentiamo Dio prossimo, specialmente attraverso il Figlio incarnato. Il Paradiso, invece, non assomiglia alla vita terrena, anzi è contro natura, contro la nostra natura...»). Ma il valore di questi pensieri è nella capacità di mischiare freschezza e ironia a meditazioni forti e gravi. «L'appuntamento», come si titola la terza sezione, è con l'addio al mondo. Con vette tanto ragguardevoli quanto sono icastiche: «La morte mi preoccupa. Sarò all'altezza?»; «Vivi o morti, che differenza c'è? I vivi saranno morti, i morti sono stati vivi»; «Ogni morte è un sacrificio che tiene in vita il mondo». E con guizzi di sarcasmo contro le mode che svuotano di senso: «Oggi si fanno i pellegrinaggi per sgranchirsi le gambe»; «La liberazione di Vienna dall'assedio dei turchi fu un evento. Oggi un evento è la recita di questo o quel buffone». Quello che ci lascia è il coraggio di sostenere le proprie idee, anche se perdenti: «L'onore, un oggetto smarrito». La parola di Gianfranceschi ancora lievita.

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