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Il re che inventò l'Europa

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La nascita del Sacro Romano Impero e la vita del sovrano avvolto nella leggenda

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Nasceil Sacro Romano Impero. Basilica di Aquisgrana, anno Mille: l'imperatore Ottone III ordina di scavare sotto la pavimentazione della chiesa per aprire la tomba di Carlo Magno. Trovato e dischiuso, l'augusto sarcofago suscita subito la meraviglia degli astanti: l'imperatore non giaceva disteso ma - così si legge nella «Cronaca di Novalesa» - «quasi fosse vivo, stava seduto su un trono, era cinto da una corona d'oro e teneva uno scettro tra le mani». Le sue membra non apparivano disfatte dalla putrefazione e tutto intorno aleggiava un profumo intensissimo. E Ottone e gli accompagnatori caddero in ginocchio... Storia, leggenda? Una cosa è certa: «il favoloso destino postumo di Carlo il Grande si colloca sin dall'avvio sotto il segno del sacro e dell'immaginario». Così leggiamo nell'ampia ricerca dedicata all'imperatore - meglio: alla leggenda, al mito, all'immagine dell'imperatore - da George Minois («Carlo Magno. Primo europeo o ultimo romano», Salerno, pp. 550, euro 29). Storico delle mentalità, secondo la tradizione francese delle «Annales», Minois ci mette subito in guardia: se per i personaggi storici più recenti, ad esempio Napoleone, il peso dei documenti è tale da impedire che il mito prenda il sopravvento, per Carlo Magno «la penuria delle fonti e la distanza nel tempo hanno permesso alla leggenda di costruire un personaggio che ha ormai un rapporto molto alla lontana con il figlio di Pipino». Eppure è proprio questa magica aura di «lontananza» a caricare di fascino il Carlo Magno storico che altrimenti sfuggirebbe a causa delle fonti frammentarie e contraddittorie; è la percezione di dover scavare nel «lontano» e nel «profondo» a far resuscitare l'imperatore franco nella pluralità delle sue incarnazioni; è il suo «mito» a stimolare e a moltiplicare gli interrogativi intorno alla sua esistenza concreta, tra il 742 e l'814. Il mito ci presenta un'icona risplendente: valoroso guerriero, saggio amministratore, audace capo di Stato, lungimirante imperatore, generoso protettore delle lettere e delle arti. L'icona ha «fatto» storia; gli storici delle mentalità come Minois non vogliono certo farla a pezzi, ma esplorarne le molte facce. Chiedendosi come e perché ognuna rivendichi il suo «buon diritto». Il Carlo Magno «francese», di madre lingua germanica. Il Carlo Magno «tedesco» che infuria sui Sassoni e impone loro il Cristo a colpi di spada. Il Carlo Magno «italiano» che schiaccia i Longobardi, rinviando di un millennio la costituzione di un nostro Stato unitario. L'umanista. Il barbaro. L'illuminista-illuminato. Il roccioso uomo della Tradizione. Il precursore di Bonaparte. L'alfiere dei Risorgimenti europei. Il vessillo nazi delle Waffen SS francesi (la Divisione «Charlemagne»). L'emblema post-bellico dell'Europa antifascista. Uomo, politico, imperatore per tutte le «stagioni» il figlio di Pipino il Breve e di Berta di Laon? In effetti verrebbe fatto di pensarlo. Comprendendo nelle «stagioni» anche quelle del nostro cuore, ovvero le emozioni e i ricordi di scuola. E in quel tenerissimo guazzabuglio sentimentale, Carlo il Grande una grande figura non ce la fa. Ricordate i cori dell'«Adelchi» manzoniano? Sì, il primo («Dagli atri muscosi, dai fori cadenti...») con i Franchi vittoriosi che si accaniscono sui Longobardi vinti, mentre gli Italiani, immemori delle passate glorie romane, stanno a guardare? E il secondo («Sparse le trecce morbide sull'affannoso petto...») con la povera Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio, che, sposata da Carlo Magno per ragioni di Stato, sempre per ragioni di Stato viene ripudiata e muore di dolore? Bè, ai tempi del liceo ci rimanemmo male e non ci è ancora passata del tutto...

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