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Raccontarsi la vita vissuta quando comincia il giorno

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In«Tre volte all'alba» (Feltrinelli, pag.94 euro 10,00) di Alessandro Baricco si parla di due personaggi che «si incontrano per tre volte, ma ogni volta è l'unica, e la prima, e l'ultima». Un confronto irreale, fuori del tempo ma anche possibile, mentre si scardinano le leggi di una verità che continua a precipitare nei suoi gangli misteriosi, ma in un modo quasi ortodosso, correttamente, chiamata da una geometria di linee che la sostengono su un piano di logica apparente, consequenziale e però oscura, severa e lattiginosa, armoniosa e scardinata, rettilinea a zigzagante. In maniera naturale, informativa per i numerosi dettagli offerti e curiosa (tante le diramazioni tematiche), Baricco sostiene una scrittura oscillante tra brevità molecolare e icasticità dei dialoghi e diffuso gusto dell'illustrazione delle memorie che risolleva remoti lembi di anni insieme con una riscoperta partecipazione di commento e senso di riflessione. E si fortifica una pagina a scatti, tutta frizzante e malinconica: sembra non cercare un centro, accontentandosi dei suoi percorsi e di un po' di circospetto sorriso. Il testo avanza senza forzature, ma con qualche aureola di effetti, come se la sua volontà si esprimesse grazie a un prezioso (e sofisticato) gioco di incastri di materiali diversi. Che hanno, ad apertura, in comune l'elegante quarantenne, simile a un'attrice che si ritiri dietro le quinte, e il fabbricante di bilance, incontratisi per una volta nella hall di un lussuoso albergo sul far dell'alba? Lei spinta dal desiderio di «lasciarsi dietro un po' di cose che non sia possibile mettere a posto»; lui, uno «strano» che se ne sta tutto solo, seduto su una poltrona alle quattro di notte. Ancora un albergo, un ragazzo rozzo e una giovane donna cui piace «essere cattiva», nel secondo testo che, pur mantenendo il ritmo serrato e incalzante del primo, muta l'angolo di visuale. Il racconto di un dramma, espresso in termini incolori, non genera allarmi e sensazioni forti, ma lascia una traccia lenta e continua e sposta il parlato negli interventi della sconosciuta nuova arrivata e del portiere d'albergo, nei quali si insinuano un rapido senso di vaghezza nel cercare una via d'uscita, partendo da una zona d'ombra, dal silenzio e dal non detto, da ciò che atterrisce e attrae, per poter dar la caccia a un barlume,a un'«eventualità improbabile». Un mescolare fonti di notizie e di altro buio, altro mistero che non si deve vedere? Intanto l'alba «dilaga nel cielo terso con tale sicurezza che perfino quei sobborghi senza ambizioni sembrano colti di sorpresa, finendo per cedere a una quasi bellezza per cui non erano stati costruiti». Avventure, ricordi, tristi vagabondaggi, considerazioni immediate (si rinvia a quella sulla cautela che devono avere i giovani «perché la luce in cui si abita da giovani sarà la luce in cui si vivrà per sempre») si mescolano addensando un insospettato senso di pena. Per contro, la follia di certi fatti ha «un bel modo». Dall'albergo un po' «deprimente» dell'ultimo racconto si diparte il filo conclusivo incentrato su un'anziana dpnna-poliziotto, prossima alla pensione, e su un ragazzino intenti a raccontare storie, a interrogarsi su casi anomali, abbandonandosi a comportamenti che possono d'un tratto spiazzare l'orizzontalità della narrazione primaria. Di tanto in tanto un fremito nelle voci, nel paesaggio, nell'aria increspa le atmosfere, le riga di «qualcosa di metallico» e di un di più di riflessione, «stanchezza inquieta»: qualcosa si ritrae non dentro i fatti bensì nei pensieri e nella «misteriosa permanenza delle cose nella corrente mai ferma della vita». Le cose, tremule e pesanti, gridate o sussurrate da Baricco, numerate, assecondate con cura, oppure velate da un mano leggera di vernice». Come in altri libri dello scrittore, assurdità plausibili e inverosimili certezze, mescolandosi, danno il via a una fitta rete di particolari autosufficienti, itinerari senza meta, accadimenti che esaltano le loro anomalie più segrete in una prosa variabile, spezzata o distesa in melodie soffici, con la quale l'autore, fra trasgressioni e malinconia, disegna scenari fantasiosi, metafisici, realtà che sfumano divenendo sensazioni, suoni che esistono solo negli echi, nell'atmosfera rarefatta e vibrante. Il continuo rincorrersi dei dialoghi misura la tensione del racconto, tensione che non è solo lo specchio delle immagini più ardite, né la piattaforma preziosa dell'intelligenza del lessico: è, invece, il dilemma nel dibattito nascosto, attrezzato per un altrove, depistante, beffardo. Nel segno linguistico a volte ambiguo, ma pure nelle irradiazioni di un intreccio romanzesco pronto a puntare verso un che di depistante, beffardo. Cesure, frantumi, spazi bianchi, omissioni sono il tessuto fragile e coriaceo di questo esile trittico che trasforma ogni particolare in una avvolgente discontinuità, in una connessione accidentata di perplessità sonore e di pronunce smorzate. Dai contrasti sorgono le note più durature che tentano di livellare tempi e situazioni distanti. Non si cercano notarili sfondi topografici, sparuti sono i visi, appena, a volte, abbozzate le situazioni. Gran parte dei passi dei racconti sembra volersi esaurire in minuscoli tratti di esemplarità, cellule di apologhi, scambi arguti di battute, saettanti analisi. Una tessitura stilistica composita, screziata e iridata di consonanze: non lontana dalla nota scrittura aerea e musicale dell'autore.

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