Warwick: «Ora anch'io sono un po' italiana»

Nessunacome lei è riuscita ad avvicinare negli anni Sessanta il pubblico bianco alla musica di matrice afroamericana, addolcita da alcune delle sue asprezze grazie al tocco lieve di Burt Bahcarach. Il grande compositore americano, insieme al paroliere Hal David, le ha regalato canzoni come «I say a little prayer», «Walk on by», «Do you know the way to San Josè», «I'll never fall in love again» e «Message to Michael», che la cantante ha trasformato in oro grazie alla sua voce inconfondibile. Abbiamo incontrato Dionne Warwick a poche ore dalla sua esibizione in Piazza Castello per il «Torino Jazz Festival», di cui è l'artista più attesa e che, diretto da Dario Salvatori, durerà fino al 1° maggio. Qual è il suo rapporto con l'Italia e con Torino? Sono stata in Italia dodici volte, la conosco molto bene. Torino è una città che mi piace molto, ricca com'è di storia. Sono venuta la prima volta nel 1963 e da allora, quando posso, torno sempre con entusiasmo. Ricordo con piacere la partecipazione al Festival di Sanremo e i concerti al Teatro Sistina. Ormai mi sento anch'io un po' italiana. Che canzoni proporrà stasera in Piazza Castello? Il concerto si baserà sul songbook di Cole Porter, uno vero genio che ha scritto tra gli anni Trenta e Quaranta classici senza tempo come «Night and day», «I've got you under my skin», «I get a kick out of you», «Begin the Beguine» e «I love Paris». Non mancheranno alcuni dei brani scritti da Burt Bacharach e farò anche alcune sorprese al pubblico di Torino. Che tipo di formazione la accompagnerà in concerto? Un'orchestra jazz, con ottoni e archi, per enfatizzarne le melodie. Sono molto contenta di essere accompagnata stasera dalla Torino Jazz Orchestra, a complemento della sezione ritmica guidata dalla pianista Kathy Rubbicco, la mia direttrice musicale. Lei si è sempre divisa tra canzoni pop e brani jazz. Quali differenze ha notato tra i due ambiti e qual è il suo preferito? Non mi piace catalogare la musica in compartimenti, le differenze nei miei brani non sono così nette e ho sempre pensato che la contaminazione sia la cosa più stimolante per una cantante. Se dovessi scegliere direi il jazz perché è sempre rimasto un genere di alto livello. Che ricordo ha di sua nipote Whitney Houston? Preferisco non rispondere. È un dolore privato che voglio tenere solo per me.