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di Lidia Lombardi Il cupolino barocco, poco più di una lanterna, sta proprio sopra la sala che espone i quadri di Caravaggio.

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Mabisogna cercarlo alzando gli occhi, nell'angolo a sinistra del giardino, quieto hortus conclusus che non immagini nel viavai del Corso. Palazzo Doria Pamphilj, la dimora di una famiglia che ha scritto la storia di Roma e d'Italia, apre qui i cancelli, oltre cui occhieggia un chiostro bramantesco e un altro cortile verde di rampicanti e rosso di bouganvillee. È molto più di un palazzo barocco. È una cittadella dai molti lati. Quello lungo il Corso, con le finestre incorniciate da ghirigori. E quelli su piazza del Collegio Romano e via della Gatta, dove una caffetteria ingloba la fontana con tritone delle antiche stalle e conduce da una porticina appunto nel ventre della «cittadella». Palazzo Pamphilj non è solo la gigantesca casa di nobili rimasta tale e quale. È anche la più preziosa collezione d'arte privata che la Capitale e l'Italia conoscano. Espone nelle stanze e nei bracci lunghi - la gallerie intitolate ai rami della famiglia, Doria, Aldobrandini, Pamphilj - dipinti di Raffaello, Tiziano, Barocci, Dosso Dossi, Lorrain, Carracci, Guercino, Reni, Bueguel. Per non dire di due Caravaggio - «Riposo durante la fuga in Egitto», «Maddalena penitente» - oltre a una copia del San Giovannino, forse dello stesso Merisi. Il bello è che la raccolta d'arte dei principi suggella una fuga di ambienti dove l'oro, i damaschi, gli intagli, gli affreschi, i soffitti trompe l'oeil e a grottesche, i lampadari di Murano e quelli di Boemia sono la norma. La Sala del Trono ha il fulcro nel baldacchino papale. E rimanda così a quell'Innocenzo X Pamphilj (sul soglio dal 1644 al 1655) ritratto nella veste rossa da Velazquez e nel marmo dal Bernini. Le due opere nel gabinetto ottagonale illuminato da un lucernaio sono come in un sancta sanctorum. Con la faccia del Pontefice si ripercorrono idealmente quelle del casato. Ecco Pietro Aldobrandini, il cardinale d'inizio Seicento che entra nel palazzo del Corso. Ecco la sua unica erede, la chiacchierata donna Olimpia. Andrà sposa a Camillo Pamphilj, che per lei rinuncia al titolo di cardinale accettato tre anni prima dallo zio papa. Ecco il figlio mecenate Benedetto, amico di Haendel e Corelli. E intanto l'ampliamento febbrile dell'edificio, l'acquisto di costruzioni intorno, sfidando le monache di via Lata e i preti del Collegio Romano. Così adesso, dalle sale della Galleria, l'affaccio è anche sulla Torre Calandrelli, l'Osservatorio dei gesuiti. Dentro, sacro e profano si mischiano. La sala da ballo, con il palchetto per l'orchestra, è attigua alla cappella di famiglia. A pianoterra un bagno ottocentesco in stile pompeiano non è lontano dallo stendardo con l'araldica, la colomba con l'ulivo dei Pamphilj, l'aquila dei genovesi discendenti da Andrea Doria, generale di Carlo V. Lo sfarzo è anche una culla rococò nella sala da letto, il divanetto candido nella Toletta di Venere. Non solo museo, questi ambienti, ma abitati. Ogni fine settimana donna Gesine Margaret Orietta May Pogson Doria Pamphilj dalla casa di Guarcino, nel Frusinate, torna sotto questo tetto.

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