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In libreria e al cinema torna Hunter Stockton Thompson Teorico delle sbronze e del buon giornalismo di parte

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Thompson,dove la S. sta per Stockton, penna di raffinatezza estrema, cronista schizofrenico e, al tempo stesso, lucidissimo, nonché imbattibile ubriacone. Tanto, diceva, «se non è il rum a metterti nei guai lo fanno le donne». Thompson, oltre le follie di una vita spinta incoscientemente ogni oltre limite, ha lasciato all'America, e al mondo l'eredità di un grande scrittore e giornalista, andando a completare, ma forse per rendersene conto ci vorrà ancora qualche anno, il trittico accanto a Hemingway e Fitzgerald. È solo l'inizio della riscoperta quella che inizia, almeno in Italia, domani, con l'uscita del film: «The Rum Diary. Cronache di una passione», interpretato da Johnny Depp, amico personale di Thompson. Il film, di Bruce Robinson, racconta la storia di Paul Kemp (Depp), giornalista e bevitore a tempo pieno che si trasferisce a Puerto Rico per scrivere per il «San Juan Star», quotidiano locale sull'orlo del fallimento diretto da un improbabile Mr. Lotterman (Richard Jenkins). Fondamentale nel film (e nel libro) la figura Moberg (Giovanni Ribisi), collega del giornale, interessato, più che alle notizie, a droga e alcol. Moberg, sconclusionato e sregolato, fornirà alla fine a Kemp un tremendo allucinogeno che, dopo una notte di incubi, lo libererà dai suoi sensi di colpa e lo spingerà a scrivere un articolo in cui denuncia la corruzione e l'avidità di Puerto Rico. Mettendosi contro quei potenti che, fino a poco prima, aveva omaggiato. Il romanzo «The Rum Diary» era stato dimenticato per anni da Thompson e se non fosse stato per Johnny Depp non sarebbe mai stato pubblicato. «Mi sono imbattuto quasi per caso in The Rum Diary», ha ricordato Depp. «Ero con Hunter nel seminterrato della sua casa di Woody Creek, in quella che era chiamata la "stanza di guerra", che era piena di scatoloni. Non sapevo cosa ci fosse dentro, così ho iniziato ad aprirli tutti e ad un certo punto è saltato fuori un manoscritto intitolato "The Rum Diary". Lui ha esclamato, "Oh sì, l'ho scritto nel 1959", e io ho replicato: "leggiamolo, vediamo di cosa parla". Così abbiamo iniziato a leggerlo. Hunter ha detto "Forse potrei pubblicarlo" e io sono stato d'accordo: "Sì, dovresti pubblicarlo, è magnifico"». Hunter Stockton Thompson nacque a Louisville, Kentucky, nel 1937. Dimostrò subito un notevole talento e una ancor più notevole sregolatezza: fece parte, a buon titolo, dell'associazione letteraria di Louisville, ma l'abitudine a litigare con chiunque, il più delle volte totalmente sbronzo, unita ad un certo piacere per il vandalismo, lo trasformarono in un assiduo frequentatore del carcere locale. «Io non raccomanderei sesso, droga o ragazzate a nessuno - diceva spesso - ma con me hanno sempre funzionato». Non si laureò, almeno da giovane, ma divenne, con una di quelle iperboli tanto frequenti nella sua vita, dottore in Teologia con un corso per corrispondenza. Thompson, oltre che per le le colossali bevute, sarà ricordato come fondatore (e principale autore) del «Gonzo journalism». Cioè il giornalismo del gonzo, dove gonzo è il nomignolo che gli irlandesi danno all'ultimo uomo che rimane in piedi dopo una colossale sbronza collettiva. «Non trovo nessuna soddisfazione nel vecchio, tradizionale pensiero giornalistico - affermò in uno dei suoi, in fondo, non rari, momenti di lucidità, teorizzando un "sano" giornalismo di parte - Così ho solo descritto il fatto. Ho solo dato uno sguardo neutro». Per Tomphson il giornalismo poteva e doveva essere veritiero, senza dover essere rigidamente oggettivo. Insomma anche le impressioni personali contano, perché dietro alla penna non ci può essere un «registratore», ma un cervello, per quanto annebbiato dall'alcol, che funziona. Nel '70 si candidò come sceriffo nella città di Aspen, in Colorado, con un programma... «originale»: proponeva di promuovere l'uso di droghe e alcol e di colpire duramente i corrotti e i responsabili dell'inquinamento ambientale. Anche con pene corporali. Non vinse per una manciata di voti. Ma intanto si era fatto sentire. Altro che «giornalismo asettico» e «fatti separati dalle opinioni». Per Thompson, che sarà stato sì un gran bevitore, ma aveva anche il cervello fino, ai politici che le sparavano e le facevano grosse non bisognava farla passare liscia. «In un mondo di ladri - disse una volta - l'unico peccato mortale è la stupidità». Morì, nel 2005, nella sua casa di Aspen, per un colpo di pistola alla testa. La tesi ufficiale è quella del suicidio, ma più di una persona è pronta a giurare che qualcuno ha voluto fargli la pelle. Ci lascia una montagna di articoli, un bel romanzo: «Paura e disgusto a Las Vegas», dal quale è stato tratto il film «Paura e delirio a Las Vegas», girato nel 1998 da Terry Gilliam e con Johnny Depp nel ruolo dello stesso Thompson. E poi «Hell's Angels», del '98, «Meglio del sesso, confessioni di un drogato della politica», pubblicato nel 2009 e molti altri scritti, alcuni tradotti in italiano, altri no. Una volta disse che «essere sparati da un cannone è comunque meglio che essere strizzati fuori da un tubetto». Un'altra di quelle frasi apparentemente senza senso, ma che si sarebbero poi rivelate profetiche. Probabilmente è per questa convinzione che tra le sue ultime volontà c'era quella di essere cremato e che poi le sue ceneri fossero disperse con una cannonata. Il 20 agosto 2005, sei mesi dopo la morte del dottor Gonzo, durante una memorabile festa ad Aspen, Johnny Depp esaudì personalmente quell'ultimo desiderio.

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