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Da Cappuccio una messinscena ancient regime

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Masoprattutto il Figaro di Rossini, a differenza del suo gemello di Paisiello, è eloquente manifestazione dell'emergente Terzo Stato uscito vittorioso dalla Rivoluzione francese. Nell'aerea e luminosa regia di Ruggero Cappuccio, che ha il merito di eliminare molte viete incrostazioni allestitive, Il Barbiere di Sterbini e Rossini torna ad essere una commedia, un canovaccio carnevalesco con musica meravigliosa: due innamorati vedono il loro amore contrastato dal tutore di lei, ma riescono a prevalere con l'aiuto del barbiere tuttofare. Essenziale la scena: una facciata monodimensionale da spettacolo all'aperto, che si apre per diventare colorito interno. Tutto si adegua alla lettura: il Conte entra in scena quasi col passo romano; Figaro, una mezza macchietta, è seguito come un'ombra da un servo controfigura, Bartolo è imparruccato e scimunito, Basilio non è il solito gesuita in nero ma un bislacco maestro di musica. Tutti, insomma, maschere, più silhouettes in caricatura che personaggi a tutto tondo, sotto lo sguardo di un Rossini giovane in scena ad apertura di sipario e nei concertati finali con pioggia di fogli musicali. Belle le luci pastello che avvolgono la vicenda, come il predominare di colori chiari nei costumi di Carlo Poggioli, mentre la scena di Carlo Savi brulica di comparse variegate. Non mancano le idee, semplici ma efficaci. Al contrario non sempre gode del doveroso smalto la lettura musicale di Bruno Campanella, che si è avvalso di un cast giovane ma valente con l'eccellente Rosina di Annalisa Stroppa, l'impulsivo Almaviva di Francisco Gatell, il Figaro ipercinetico di Alessandro Luongo, il Bartolo incartapecorito di Paolo Bordogna, il Basilio parruccone di Nicola Ulivieri. Applausi a scena aperta e calorosi consensi.

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