Lo spirito della natura contro il disagio civile
Opera giovanileAnche Hermann Hesse ha scelto le vicende del santo poverello
Èla storia di San Francesco d'Assisi a colpire Hermann Hesse in occasione del tradizionale viaggio in Italia che storicamente ha nutrito l'immaginario dei più illustri letterati internazionali. Visitando per la prima volta il Belpaese nel 1901 lo scrittore tedesco, nato nel 1877 e destinato al Premio Nobel nel 1946, conobbe Firenze, Ravenna, Venezia e si innamorò della Toscana e dell'Umbria al punto da dedicare una delle sue migliori opere giovanili alla vita del Santo poverello, pubblicata a Berlino nel 1904, quando aveva soltanto 27 anni. Si tratta del libretto «San Francesco d'Assisi», uscito in libreria nel marzo scorso, a cinquant'anni dalla morte dell'autore, in una nuova pubblicazione voluta da Piano B Edizioni nella sua collana «La mala parte» con traduzione di Anna Maria Cocchi. Educato in un ambiente familiare in cui si coltivavano gli studi filosofici, si leggeva la Bibbia e si conosceva la cultura indiana, nonché avviato dai genitori agli studi teologici, il giovane Hesse si sente immediatamente ispirato dalla figura di San Francesco in cui individua la manifestazione concreta e umanissima di un ideale di vita in armonia con le forze della natura che poteva parlare all'anima scontenta e sofferente della modernità occidentale. Così recita infatti la parte finale del prologo: «Avvenne allora che in Umbria un uomo giovane e sconosciuto, spinto dai suoi rimorsi e in profonda umiltà, decidesse dentro di sé, di vivere il resto della sua vita, semplicemente e senza ripensamenti, come un modesto e fedele seguace del Salvatore. (...) Quest'uomo era Giovanni Bernandone, chiamato san Francesco d'Assisi, un sognatore, eroe e poeta. Di lui ci è rimasta solo un'unica preghiera o poesia, ma invece di parole e di versi scritti, egli ci ha lasciato il ricordo di una vita semplice e pura che, per bellezza e tranquilla grandezza, si erge sopra moltissime opere poetiche. Chi dunque narra la sua vita non ha bisogno di altre parole e considerazioni, dalle quali a mia volta sono felice di astenermi». Santo e poeta, figlio e maestro, Francesco è l'umile amico e il tenero fratello di ogni creatura: ha assimilato il mistero dell'esistenza e l'ha ricondotta alla sua originaria e pura armonia con un'esperienza di vita unica, inconsueta e indimenticabile. L'universalità del messaggio francescano, affrontato da Hesse con uno spirito autentico, stupefatto e commosso, viene qui sintetizzata dalla prosa del grande scrittore attraverso un resoconto biografico narrato con uno stile semplice e ingenuo, in grado di riprodurre il magico contatto con la natura tipico dell'infanzia, che rende questo breve e gradevolissimo scritto un incrocio tra biografia, saggio e favola per adulti e bambini. San Francesco d'Assisi risulta dotato dell'entusiasmo del sognatore come dell'eroismo della virtù, è l'immagine perfetta della figura iniziatica sulla via della saggezza tanto ricorrente nel pensiero e nella produzione dell'autore tedesco che spiega con queste parole il suo complice e sentito interesse: «Uomini così, che hanno raggiunto una profonda essenzialità, agli inizi sono quasi sempre giudicati pazzi e non mancano certo coloro ai quali tali anime appariranno sempre incomprensibili e folli. A chi però contempli seriamente la vita di un grande uomo, essa sembra simile a un fiume che precipita da una gola e simile a un grido appassionato di tutta l'umanità, perché in realtà una vita del genere è sempre come un sogno che diviene forma e persona, una nostalgia divenuta visibile e un desiderio di eternità di tutta la terra, le cui creature, nella fugacità della vita, cercano sempre di unire la loro sorte a quella degli astri eterni». L'esemplarità di questa piccola e immensa creatura umana è rintracciata nel suo rapporto con la storia che Hesse chiarisce e scarnifica con la consapevolezza di un distacco morale valido anche a confermare la sua costante e sana distanza dalle ombre della politica. «Questo accadeva nell'anno di grazia 1210 e in quell'epoca a Roma regnava il papa Innocenzo III. Egli era in quasi tutte le cose l'opposto di San Francesco, ma non in senso cattivo. Soltanto gli mancava l'amore e la dolcezza dell'animo perché non era un tenero pastore, ma piuttosto un potente guerriero e un dominatore che governava con energia la Chiesa di Roma, minacciata da più parti in vari modi, e l'aveva innalzata a un nuovo prestigio e potenza. Accadde così che nello stesso periodo un papa, signore combattivo, salvasse la Chiesa da un indebolimento terreno riportandola a un alto grado di splendore, mentre l'amorevole e modesto umbro la riempiva di un nuovo spirito d'amore». Il ritratto del protagonista si completa con la freschezza sempre stupefacente ed emozionante delle sue leggende e con la citazione estesa delle «Laudes creaturarum», ma il passaggio più prezioso è custodito dal saggio conclusivo «Il gioco dei fiori: dall'infanzia di San Francesco d'Assisi», scritto nel settembre 1919 e pubblicato nel febbraio del 1920 su una rivista tedesca, in cui Hesse immagina un aneddoto del santo da bambino, ricostruendo con la sua sincera maestria il mondo emotivo della prima età e arrivando addirittura a penetrare con sublime efficacia poetica i pensieri della madre del futuro santo. «Se paragonava l'innocenza dei desideri e dei propositi di Francesco con la passione e il sofferto ardore che questi provocavano in lui, provava una strana sensazione. Questo ragazzo avrebbe avuto tanto amore nella sua vita, era sicura, ma anche tante, tante delusioni. Non sarebbe diventato un cavaliere, quelli erano solo sogni. Eppure era destinato a qualcosa di non comune, nel bene e nel male. Al buio della stanza gli fece il segno della croce e in cuor suo lo chiamò come più tardi si sarebbe chiamato lui stesso: poverello».