Grasso racconta Cosa nostra tra riti e aneddoti
Laconsapevolezza dei cittadini sostiene magistrati e poliziotti in prima linea. Un dogma questo per Pietro Grasso procuratore Antimafia. Già nel 2001 con il libro intervista di Saverio Lodato, «La mafia invisibile, la nuova strategia di Cosa nostra», Pietro Grasso, all'epoca capo della procura a Palermo, si sforzava di spiegare la camaleontica capacità criminale della mafia. Oggi Pietro Grasso torna su questo filone educativo-informativo con «Liberi Tutti. Lettera a un ragazzo che non vuole morire di mafia» (Sperling&Kupfer, pag. 225, euro 15,00). Il procuratore nazionale antimafia fa spesso ricorso agli aneddoti per spiegare ai giovani il fenomeno mafioso. Racconta le origini e gli sviluppi della mafia, i riti, le parole d'ordine. Lo fa riportando quello che a lui stesso hanno spiegato sia i pentiti sia uomini simbolo come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, vissuti sapendo che ogni giorno si sarebbero confrontati con la morte: «Giovanni - diceva spesso Borsellino a Falcone - finché sei vivo tu io sto tranquillo, perché se decidono di farlo, prima tocca a te». Grasso ricostruisce, seppur a volo d'uccello, anche la trattativa. «Borsellino era stato messo al corrente dei contatti dei carabinieri con Vito Ciancimino -, spiega, aggiungendo che le stragi di Capaci e via d'Amelio rispondono a una triplice logica». La vendetta - per i boss condannati con il maxiprocesso -, la prevenzione per il timore che venissero riprese le indagini su connubi fra imprenditoria, politica e mafia e l'eversione, per «evitare che dopo Tangentopoli si potessero innescare mutamenti radicali della politica italiana». Una nota critica per la Chiesa: è vero, contro la mafia in passato ci sono state le denunce del cardinale Pappalardo e il «folgorante anatema di Giovanni Paolo II e l''ultimo documento della Cei afferma che la mafia è struttura di peccato inconciliabile con la fede», ma secondo Grasso ci sono ancora troppe omertà nella Chiesa siciliana. Il filo rosso è un invito ai giovani a combattere la mafia soprattutto sotto l'aspetto culturale: «La legalità è la forza dei deboli, è il baluardo che possiamo opporre ai soprusi, alla sopraffazione, alla prevaricazione, alla curruzione», insomma alla mafia e non solo. Un'utopia? «Può darsi ma agli scettici voglio ricordare che sono le utopie che fanno la storia».