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di Giuseppe Sanzotta Rosario Bentivegna è stato il testimone dell'assenza di una memoria condivisa nel nostro Paese.

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Edalle ferite di una guerra civile, la chiamo così pur riconoscendomi in quell'Italia che ha fatto la resistenza e si è opposta al nazifascismo, che ha lasciato ferite aperte per decenni. Rosario Bentivegna è morto a 90 anni, il suo nome è legato all'attentato di Via Rasella in cui furono uccisi 33 soldati delle SS Bozen. Per reazione furono uccisi 335 innocenti, presi a caso. Una rappresaglia crudele e ingiustificata. Con cinque morti in più che costarono a Kappler la condanna per averci messo del suo, per aver aggiunto crudeltà a crudeltà. Rosario Bentivegna, poco più che ventenne, nel primo pomeriggio del 23 marzo del '44 in via Rasella, con la sua compagna Carla Capponi, e altri uomini della resistenza romana, colpirono una colonna tedesca. A guardare da lontano l'operazione Giorgio Amendola in attesa di andare a una riunione clandestina del Cln nei pressi di piazza di Spagna. Di quella giornata parlai molti anni fa con Carla Capponi e recentemente con Bentivegna. Tante le domande. Era necessario quell'attentato? E le due vittime civili, tra cui un bambino, non potevano essere evitate? E poi la rappresaglia non era scontata? Capii l'iniziale irritazione dell'ex partigiano, dopo sessanta anni le stesse domande. Ma poi accettò di parlare volentieri, la sua non era una difesa, ma una orgogliosa descrizione di un atto di guerra contro un esercito nemico e invasore. «Facemmo il possibile per evitare di coinvolgere i civili, Pasquale Balsamo che era con noi, allontanò dal luogo dell'esplosione tanta gente. Anche io feci fuggire da palazzo Vittoni un soldato di guardia. In seguito ci rigraziarono in molti per questo. Sono addolorato per quelle vittime innocenti. Però quanti civili sono morti in quegli anni? In migliaia a San Lorenzo. Io c'ero e decisi in quella occasione che avrei combattuto. Non potevo restare a guardare. Bisognava agire. Non si può ignorare cosa fossero Roma e l'Italia in quegli anni. Quanto sangue, quanti drammi. Ci furono settecento morti a Porta San Paolo. Mille persone furono deportate dal Quadraro. Dieci donne furono fucilate al Ponte di Ferro perchè manifestavano chiedendo pane per i figli. Duemila carabinieri sono scomparsi». Via Rasella era necessaria? «Fu un legittimo atto di guerra contro un battaglione armato». Era stato proprio Amendola a segnalare che da molti giorni un gruppo di soldati tedeschi saliva per via Rasella. I Gap decisero l'attentato, 18 chilogrammi di esplosivo inseriti con una miccia in un bidone della spazzatura. La colonna tedesca tardò, stava per essere annullata l'operazione quando una delle vedette segnalò, che stavano arrivando. Fu accesa la miccia e Bentivegna con Carla Capponi fuggirono verso via quattro Fontane e poi via Nazionale. Ormai nel centro di Roma esplodeva la rabbia dei soldati tedeschi; fermi, arresti. La coppia sfuggì all'arresto forse perché scambiata solo per una coppia di fidanzati. Ma molti altri caddero nella rete e poi la rappresaglia. Poche ore per trovare 335 italiani da sacrificare. Kappler prese ovunque e chiunque, anche due ragazzi di soli 15 anni. E fu lui a dare il via al martirio delle Fosse Ardeatine dando l'esempio su come uccidere i prigionieri con un solo colpo alla testa. Si sostituì anche a quei soldati che esitavano davanti a tanta ferocia. Ma Salvo D'Acquisto si immolò per evitare che 20 innocenti fossero uccisi. Bentivegna non ha dubbi: «È stato un eroe. Un santo pose la mano sulla sua testa». E lei? «Se avessimo saputo della rappresaglia ci saremmo presentati. Non sono un kamikaze, avremmo dato battaglia, ci saremmo anche fatti ammazzare. Ma la rappresaglia fu tenuta segreta». In effetti la storia dice questo. Robert Katz, un giornalista americano, nel raccontare la vicenda scrisse che il Papa non fece nulla per evitare la rappresaglia. Lo scrittore fu condannato perchè fu accertato che anche Pio XII fu tenuto all'oscuro della reazione tedesca. In effetti il luogo dell'esecuzione, poi l'esplosione per chiudere quella cava a sud di Roma con il suo carico di morte, sono la testimonianza che i tedeschi volevano nascondere il più possibile l'eccidio. Probabilmente temevano una reazione popolare che forse non sarebbero stati in grado di fronteggiare con i soldati tutti impegnati a contrastare l'avanzata americana. Così la notizia, lo scrisse Katz e ce lo ha ricordato Bentivegna, fu resa pubblica a eccidio avvenuto con un dispaccio dell'agenzia Stefani, in cui si dava l'annuncio dell'attentato ad opera di «comunisti badogliani» e della successiva rappresaglia. Il comunicato finiva con «la sentenza è già stata eseguita». Ora che è morto ci piace ricordare un desiderio di quel vecchio partigiano. Un monumento unico per ricordare tutte le vittime civili della guerra. Forse potrebbe essere un passo per consegnare alla storia le passioni, le divisioni e le crudeltà del secolo scorso.

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