La rivincita del leone del deserto
Centoanni fa con la pace di Losanna, l'Italietta con ambizioni di potenza strappava al decandente Impero ottomano Tripolitania e Cirenaica, le accorpava riesumando il nome romano di Libia, e si dava da sola la missione di civilizzatrice della quarta sponda come erede della romanità. Il sanguigno socialista Benito Mussolini aveva bloccato i treni per esprimere platealmente il dissenso su quella guerra, ma una volta diventato Duce avrebbe fatto marciare di nuovo il Regio esercito (più le Camicie nere) per la riconquista di quel lembo d'Africa che secondo gli scettici era uno «scatolone di sabbia» (che poi galleggiasse su un mare di petrolio, come scoperto da Ardito Desio, era di là a venire). La guerra con la Turchia rivelò al mondo l'inventiva e la spregiudicatezza degli italiani: primo impiego dell'aeroplano per fini bellici, prima ricognizione fotografica, primo volo notturno, primo bombardamento aereo. Se i corrispondenti dei più importanti giornali plaudivano alle gesta di un esercito che si portava dietro il vergognoso fardello della sconfitta di Adua, persino il Vate Gabriele d'Annunzio nella «Canzone della Diana» volle cantare la modernità arrembante. La Turchia cedette all'Italia quei territori, ma non per questo le popolazioni locali furono liete di passare da una dominazione a un'altra, per di più di cristiani al posto dei musulmani. Nonostante i proclami sul Mediterraneo tornato «mare nostrum», l'incalzare degli eventi e lo scoppio della prima guerra mondiale allentarono progressivamente le maglie del controllo, tanto da limitarlo alla fascia costiera: l'unica che in qualche modo, rispecchiasse quel che la propaganda aveva strombazzato per manipolare l'opinione pubblica. «Tripoli bel suol d'amore» era una canzone, non una realtà. La colonizzazione era quasi una scelta obbligata per rispondere alla pressione demografica che trovava sfogo nell'emigrazione verso le Americhe. La terra che andava ai coloni veniva tolta ai libici. Ogni discorso sulla razionalità dell'agricoltura e sullo sfruttamento è una fase ulteriore. Il generale Rodolfo Graziani metterà il marchio su quella riconquista col ferro e col fuoco per sradicare la guerriglia. Il capo senussita Omar al-Mukthar, il leone del deserto, verrà fatto impiccare nonostante la veneranda età. Gheddafi, che nel 1970 caccerà gli italiani dalla Libia appropriandosi di tutti i beni nazionalizzati, si approprierà anche di quella figura e nel 1981 finanzierà con una trentina di milioni di dollari il kolossal-polpettone di Mustafà Akkad (regista siriano ucciso da al-Qaeda nel 2005), che con l'alibi della storia fa propaganda di grana grossa. In Italia il film è stato censurato per una trentina d'anni, perché «lesivo dell'onore dell'esercito». Sky l'ha trasmesso per la prima volta nel 2009, pochi l'hanno visto in cineforum semiclandestini o convegni in sordina. Ieri l'Università «Gabriele d'Annunzio» di Chieti-Pescara l'ha proposto a suggello della due giorni «La Libia nella storia d'Italia»: ci aveva già provato nel 2009 e la Digos non aveva fatto scattare la luce verde. Il problema dei crimini di guerra in Italia è stato eluso e accantonato. I rapporti con la Libia sono stati schizofrenici, proprio per la difficoltà di fare i conti con la storia. Il problema delle riparazioni è riemerso più volte, anche in modo eclatante, farsesco e addirittura ricattatorio, durante la dittatura di Gheddafi. Potere del petrolio e dell'incubo dei migranti sui barconi che partivano dalla «quarta sponda», e solo in parte della cattiva coscienza. Il colonnello, lo ricorderanno tutti, in occasione dell'ultima visita ufficiale in Italia sfoggiò sull'uniforme appesantita da pacchiane medaglie e decorazioni proprio una foto di al-Mukhtar: l'irriducibile vecchietto con la barba candida che teneva in scacco Rodolfo Graziani. Eppure era stato catturato - contrariamente a quello che sostiene il film con cast stellare (Anthony Quinn, ma anche una raffica di attori italiani come Raf Vallone e Gastone Moschin) - dalle truppe libiche arruolate sotto il tricolore sabaudo. E nel 1939 la politica pacificatrice di Italo Balbo, che aveva ripudiato la cruenta repressione di Graziani costata migliaia e migliaia di morti, aveva avuto come acme la concessione della cittadinanza italiana ai libici. I militari africani non erano quindi truppe coloniali, tant'è che venne formata anche un'unità di paracadutisti. Mussolini, che a parole si era fatto pure alfiere della causa islamica, non sarebbe mai entrato ad Alessandria d'Egitto sfoderando la spada su un cavallo bianco. Il convegno dell'Università abruzzese ha fatto ascoltare, per la prima volta dopo la rivoluzione e la guerra civile culminata con l'eliminazione di Gheddafi, la voce degli storici libici. Anche loro devono fare adesso i conti col passato.