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La favola di Mozart per raccontare la virtù

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All'Opera di RomaAffascina «Il flauto magico» come storia per piccoli. Deliziosa Pamina di Müller

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Èproprio la dimensione di questa semplicità quasi fiabesca (dopotutto si tratta di una storia d'amore di due giovani e della sempiterna lotta tra il Bene e il Male, tra il saggio Sarastro e l'oscurantista Astrifiammante Regina della Notte) ad essere restituita alla vita all'Opera di Roma dall'allestimento realizzato da David Mac Vicar per il Covent Garden di Londra una decina di anni fa. Evidente, nella rinuncia ad ogni orientalismo o allusione egizia, la deliberata collocazione nel Settecento illuministico della ormai prossima Dea Ragione, ovvero in un'epoca di grandi rivolgimenti socio-culturali e generazionali ma non senza qualche ammiccamento massonico con la Loggia del secondo atto sovrastata da un enigmatico occhio e la ieratica ritualità del cerimoniale iniziatico, con il colore rosso e il grande sole trionfante nel finale, ma si innova anche qua e là con la Papagena pin-up in minigonna o il Monostato scolorito con parrucca grottescamente cotonata. Tutte a vista le azioni, secondo la macchineria scenica del Settecento, oggi ancora in uso solo al delizioso Teatrino svedese di Drotthingholm: il gigantesco serpente agitato appunto a vista, servi di scena che sbucano ripetutamente dal sottosuolo attraverso botole sotterranee o la strana macchina volante leonardesca con ali e coda appesa a funi per il volo dei tre benevoli Geni. Tra i molti interpreti, impegnati nel doppio difficile ruolo di cantanti e attori secondo il modello del Singspiel tedesco, sfocato e poco carismatico il Sarastro di Peter Lobert, a dispetto del costume di nobile saggio, laico e non più Gran Sacerdote; finalmente deliziosa e fresca la Pamina della giovanissima Hanna Elisabeth Müller; variopinto a dovere l'acquitrinoso uccellatore Papageno con cappello ad anatra del mobile Markus Werba; lucido e adamantino il Tamino di Juan Francisco Gatell; approssimativa infine la tormentata Regina della Notte dalla impervia coloratura di Hulkar Sabirova, sonoramente contestata dal loggione, accompagnata da una enorme falce di luna e dalle costellazioni zodiacali (due arie tra le più difficili del repertorio sopranile). La direzione musicale con poco nerbo di Erik Nielsen, nel resto sopportabile, cedeva poi troppo spesso ad andamenti troppo rilassati. Una bella prova per tutti, sottolineata alla fine dal caloroso gradimento del pubblico. Ancora oggi la voglia di favola resiste, specie se è a lieto fine e se cerca la felicità attraverso la virtù e la saggezza illuminata. Auspicio verso un mondo che si spera migliore. Repliche il 29, 30, 31 marzo, 1 aprile.

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