Quel Mezzogiorno illustre che fa dell'Italia un grande Paese
Afare un viaggio contromano, partendo dal sud del Sud, ora ci prova Marina Valensise, per scoprire un Mezzogiorno «necessario» al Belpaese, per sfatare ancora quei pregiudizi antichi e guardare con gli occhi della cronista oltre che d'indigena, e raccontare l'eroismo, la laboriosità e, soprattutto, la normalità di un territorio, che non è solo lamenti e desolazione. Con «Il solo sorge a sud» (Marsilio, pag. 363 euro 22) Marina Valensise, scrittrice e giornalista de Il Foglio, allieva e traduttrice di Francois Furet, realizza un «piccolo dizionario in forma di viaggio» con uno spiccato taglio di reportage e inchiesta. Il percorso comincia nel cortile di un'infanzia calabrese, nell'antica casa di famiglia a Polistena, e finisce nella Napoli inorgoglita dei neoborbonici. Per raccontare il Sud in modo eccentrico forse un po' «folle», per far conoscere queste terre sconosciute ai più, Valensise associa ad ogni regione la sua stagione (per la verità quattro stagioni per cinque regioni), ognuna con una sua idea dominante e il suo scrittore-guida, il suo Virgilio. L'estate è della Sicilia: nell'immagine del forestiero, ancora dominata dal pessimismo gattopardesco di Tomasi di Lampedusa, è la regione del cannolo, del panino ca' meusa, del carretto, del teatro dei pupi, della coppola, della lupara, degli sguardi lascivi dei modelli di Dolce & Gabbana. Come diceva il principe di Salina: «I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti». Invece, come aveva già scoperto l'autrice, nel 2010, nell'inchiesta per «Il Foglio» sulla Sicilia come metafora politica dell'Italia, oggi una fetta crescente di siciliani si è convinta che si possa cambiare tutto perché tutto, e non nulla, cambi. L'autunno è della Calabria, la regione «più autunnale d'Italia, dove fioriscono i limoni ma dominano ulivi, querce, castagni, dove bastano venti minuti per scendere dalla montagna al mare, «dove è difficile accettare l'incongruenza tra il paradiso naturale e la desolazione civile che per molti versi avvicina questa regione all'inferno». Eppure da quel cortile assolato con il brecciolino bianco che segnava le ginocchia dei ragazzini, nella casa di Polistena si guardava all'orizzonte «le montagne delle Serre che prima di salire verso l'Aspromonte, si dilungano sui piani della Corona, culminano sul dente del Sant'Elia per tuffarsi, da lì, a picco sul mare e ritrovare in fondo al golfo di Gioia le piccole sagome estenuate delle Eolie...». A una calabrese d'origine, romana di nascita e adozione quei soggiorni le hanno permeato l'anima di quella bellezza struggente, circondata da principi e valori nei quali era cresciuta e che oggi sembrano a tal punto calpestati da essere cancellati nel loro esatto contrario. Il passaggio in terra natìa e il ricordo dell'infanzia, un po' mitica come per tutti noi, non diventano il rimpianto del passato o l'amarezza del futuro impossibile, ma il potenziale punto di partenza per un'analisi sul presente. In particolare, il tentativo di capire, alla luce di Corrado Alvaro, dove e perché cresce la malapianta della criminalità organizzata, se è estirpabile dalle teste, prima che nei tribunali, e come. L'inverno è diviso a metà tra la Basilicata e le Puglie, rigorosamente al plurale. La prima è un'altra delle regioni più belle e misteriose d'Italia che l'autrice percorre con la volontà di demolire il «dolorismo» dipinto da Carlo Levi e mostrare la Lucania di Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti, che non è solo i sassi di Matera, ma piace fino in California, che grazie all'emigrazione e alle prodezze delle ultratecnologie, sposa la memoria del passato col sogno del cinema americano. La Puglia invece è il nord del Sud: barocca, anglofila, commerciale e industriale. La terra della taranta e del vendolismo, dei merletti di pietra di Lecce e di Gennaro Nunziante, il regista di Checco Zalone. Il viaggio contromano da Palermo via Salerno si ferma a Napoli. Alla Campania, dove è ambientata la primavera, l'autrice dedica due tappe: Campania «sub specie Terra Laboris» e Napoli, la capitale perduta del regno delle due Sicilie, che è «un mondo a parte, un mondo dove il sud, le sue virtù e i suoi problemi, finiscono nel bene e nel male, per subire un'amplificazione abnorme con il rischio di calcellare tutto il resto». Qui la Valensise parla con imprenditori e intellettuali, cita Raffaele La Capria e descrive una città che prova a risorgere, a riscattarsi dall'inferno di Gomorra per arrivare al paradiso della robotica. Ecco, raccontare il Sud che ce la fa, che cambia e s'impone nel Paese e nel mondo, è l'obiettivo di Marina Valensise con «Il sole sorge a sud»: cambiare l'immagione negativa dei meridionali, criminali, lassisti, pressapochisti, un popolo senza autostima, orgoglio e consapevolezza di sé. Oggi - dice l'autrice - «l'amore e la passione dei meridionali per la propria terra sono venuti meno e il sogno dei genitori è quello di mandare i propri figli fuori, trasformando il Sud in un paese deserto». Insomma, al di là dei risentimento post-borbonico o della visione leghista e nordista che si traduce in una criminalizzazione collettiva di un popolo, la Valensise è tornata dal suo viaggio con un'unica convinzione in valigia: il Meridione non è un problema ma una grande risorsa da sfruttare «e non possiamo pensare di amputarlo rinunciando ad essere una grande nazione».