Il cronista del regime di Salazar rivive nel volto di Mastroianni
D'altraparte, lo scrittore non aveva mai nascosto che la sua prima grande scoperta artistica era avvenuta proprio con il cinema. Fin da bambino, agli inizi degli anni '50, i genitori lo portavano a vedere quei film con i quali il Bel Paese viveva una grande euforia per la liberazione da un ventennio di repressione, anche cinematografica. Soltanto dopo la guerra, l'Italia si era potuta riflettere sul grande schermo nella sua immagine più autentica. «Nella sala del mio paese - raccontò una volta Tabucchi a Locarno - si reagiva in modo passionale di fronte alle scene dei film: qualcuno gridava, altri piangevano o imprecavano e pareva di assistere ad un vero e proprio rito collettivo, una sorta di catarsi liberatoria». La storia del suo amore per il cinema è davvero lunga e comincia da piccolo cinefilo formatosi con le opere del Neorealismo, ma anche con le pellicole americane, come «Via col vento», «grande film tratto però da un libro mediocre», diceva. Quel cinema Tabucchi non lo abbandonò mai, sia da osservatore acuto, critico o polemista, sia da giurato in festival di prestigio internazionale come quello di Cannes. Solo quando a 13 anni ebbe un incidente al ginocchio che lo costrinse a restare immobilizzato, cominciò a leggere i mitici Conrad e London, senza però mai dimenticare il suo regista preferito, il leggendario Fellini dello «Sceicco bianco» e dei «Vitelloni», che non si era mai imposto autocensure, ma si alimentava di una fantasia scatenata. La sua passione per il cinema lo trasformò anche in un attore provetto in «Rom Tour» (1999) di Silvio Soldini e Giorgio Garini. Oltre al ruolo di interprete, Tabucchi lavorò anche come scrittore per Massimo Guglielmi in «Rebus» (1989) con Charlotte Rampling, poi per Alain Corneau in «Notturno indiano» «(1989) e ancora, per Alain Tanner in «Requiem», per Liana Eliava in «Cinema» (1978) e per Fernando Lopes ne «Il filo dell'orizzonte» (1993). Ma certo la grande popolarità la raggiunse con «Sostiene Pereira» tratto dal suo celebre e omonimo libro, ambientato a Lisbona nel 1938, in pieno regime fascista salazariano, film diretto da Roberto Faenza che esorta alla ribellione in nome della libertà. «Il personaggio di Pereira è nato dalla mia immaginazione e, anche se non ne ho descritto il volto, conoscevo bene la sua faccia. Poi c'è stato il film di Faenza, tratto dal mio romanzo. Da allora, se ripenso a Pereira riesco a vederlo solo con la faccia di Mastroianni e questo è il più bel ricordo che mi è rimasto di lui», raccontava lo scrittore parlando del film. Staordinariamente attuale anche la sua visione del cinema italiano che descriveva agli inizi del 2000: «Ci sono molti autori che mi piacciono, come Nanni Moretti o Mario Martone. Sono convinto che in Italia si facciano bei film, anche se poi subentra il problema della distribuzione e del dove poter vedere queste opere».