di Roberta Maresci Ha detto che il suo amico Gianni Rodari era solito ripetere che il verbo leggere non contempla l'imperativo.
Mache dire quando è lui, Roberto Denti, a domandarci da che pianeta vengono i gatti? Che cos'è l'uomologia? E perché i nani, amici di Biancaneve, sono sette e non otto, o sei o cinque? Denti, scrittore «dalla parte dei bambini» e libraio fondatore della Libreria dei Ragazzi a Milano (prima in Italia e seconda in Europa) risponde con «Quattro storie quasi vere» (Editoriale Scienza), presentato ieri alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna. Evento dove la fantasia è il principale "motore" del mercato. Pollicino, Alice, licantropi e templari, miscelati, sono la storia vincente. Stilton e Pimpa sbarcano all'estero (vengono tradotti 8 titoli su 10). E i libri più venduti sono quelli umoristici o d'avventura, a pari merito delle storie vincenti, che permettono ai lettori di immedesimarsi. Ma che potere hanno ancora le fiabe? Ha un senso riscrivere La vera storia del Principe Azzurro (Piemme Junior), come Roberto Denti ha fatto, nella quale il principe finisce da single? «Era un principe poligamo, non poteva sposare tutte le principesse che incontrava». È finita l'era del vissero tutti felici e contenti? «No. Le favole esistono da 20mila anni. I fratelli Grimm le hanno riadattate per i bambini, mantenendo la paura, dovendo insegnare loro anche (banalmente) ad avere paura mentre si attraversa la strada. Mantenendo sempre un finale lieto. Le cose cambiano quando i lettori hanno 9-10 anni e il protagonista può affrontare il tema della morte». Che difetto hanno gli scrittori di oggi? «Scrivono troppo, ma qui entra in causa anche l'industria culturale. Piuttosto, è assurdo che si continui ad andare avanti solo con Cipì e Il Piccolo Principe. La generazione di Piumini, Pitzorno e Pinin Carpi non aveva un numero così alto di buoni scrittori. E i libri validi erano nella sfera di Collodi e De Amicis, con Rodari in testa». C'è un libro dove il protagonista ha i tratti della sua vita? «Quando ero bambino mi identificavo in Robinson Crusoe: era la mia biografia. Perché dal niente creava il mondo. Poi, quando da partigiano sono stato in prigione, mio fratello mi mandò dal cappellano Don Chisciotte: mi ha insegnato a cercare l'equilibrio tra i limiti della vita e quanto desideravo». La moltiplicazione di manuali, bignamini e antologie provoca un paradosso: gli studenti, sentono parlare di opere che non hanno mai letto. Come può nascere un amore per Lucrezio o Shakespeare? «Gli autori sono sempre stati proposti dagli insegnanti. Shakespeare si può conoscere andando a teatro. Per apprezzare Lucrezio, se tradotto in italiano, bisogna essere competenti in filosofia. Ci vuole un adulto che aiuti nella lettura». Possiamo aiutare i ragazzi a leggere? «No. Insegnare a leggere è un fatto tecnico e didattico. Dovemmo trasmettere il piacere della lettura. Ma ci sono degli ostacoli. Primo: in famiglia, dove l'80% non possiede libri e non legge. Secondo: a scuola, dove si usano schede didattiche e schede di comprensione. Pretendendo d'avere davanti solo tipi alla Benedetto Croce, col dono dell'analisi. Il bello di un libro è anche la capacità di piacere o non. Offrendone un altro, non simile, se è piaciuto: non temendo la fregatura. Mantenendo però la libertà della lettura: indirizzabile. Sempre ammesso che gli adulti la conoscano». La Ferrari della letteratura contemporanea si chiama Greg Heffley, protagonista del Diario di una Schiappa (Il Castoro). Come mai, in libreria, la lezione di una mezzacalzetta conta più delle intuizioni di Leonardo? «I giovani leggono poco. Eppure il vero stimolo è lasciarli liberi di leggere. Via libera al fantasy e alle storie d'amicizia. Ottimo Pinocchio, che ha tempi narrativi molto rapidi; bandito dai perbenisti, è il libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia e il Corano. E c'è posto anche per la schiappa nella vita di un ragazzo di 13 anni. Ma per favore, dimentichiamoci dei classici: sono libri di una generazione passata!». Viene in mente quando David Foster Wallace tenne un discorso, nel 2005, ai laureandi di Kenyon College con la storiella del pesce anziano che chiede ai giovani: «Com'è l'acqua?». I due pesci giovani replicano: «Che è l'acqua?» Poi, lo scrittore spiegò il succo della storiella. Ossia, come i due pesci più giovani, spesso non ci rendiamo conto di cosa sia veramente l'“acqua” nella quale viviamo ogni minuto della nostra esistenza...» «Io? Preferisco i pesci cotti ai crudi. Se il bambino è curioso, ci sono dei libri adatti. Bisogna però che al bimbo si faccia osservare cosa significa la schiavitù di stare come un pesce rosso in una bolla di vetro di 30 centimetri di diametro. Spiegare che in oriente esistono pesci rossi pesanti anche un chilo. Aggiungere informazioni. Altrimenti, se il bambino ha interesse verso i pesci rossi, pensa esista solo "quel" pesce rosso che vede. Gli adulti possono aiutare i bambini, poi, che sentano il dovere di aiutarli, la mia esperienza mi lascia in dubbio».