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Quel settembre a Trinità dei Monti

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Amezzogiorno l'aria profumava ancora della fragranza di fiori estivi, e il sole caldo arrossava le guance delle turiste straniere. Le guardavo salire e scendere la scalinata di piazza di Spagna, seguendo ipnotizzato il ticchettio delle loro scarpette eleganti, e spiavo, per quanto la decenza me lo permettesse, le loro gambe velate dalle calze sotto le gonne morbide, svolazzanti nella dolce brezza romana. Intanto sognavo Parigi. Mi aspettava, era il mio premio. Avevo appena discusso la sudata tesi di laurea in Ingegneria mineraria. E mio padre era piuttosto fiero di me. Era un agente della polizia fascista, ma non un fanatico del Partito: ci si era trovato, più che altro. Quando gli chiedevo cosa ne pensasse del governo, assumeva un'espressione indecifrabile. Poi mi rispondeva: «Sempre meglio della guerra. O della rivoluzione comunista». (...)

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