Muller è il nuovo direttore del Festival di Roma
Da doge degli schermi veneziani a console della celluloide capitolina: Marco Muller è il nuovo direttore artistico del Festival internazionale del Film di Roma. L'ok del cda della Fondazione Cinema per Roma ha proiettato stamattina i titoli di coda del film (di guerra) iniziato mesi fa, il braccio di ferro istituzionale che ha portato il critico sulla sedia di Piera Detassis. Si completa così, dopo l'altrettanto faticoso turn over tra Gian Luigi Rondi e Paolo Ferrari alla presidenza, la coppia di vertice fortissimamente voluta dalla presidente della Regione Lazio Renata Polverini, e dal sindaco Gianni Alemanno. Lui, Muller, vuole lasciarsi indietro le polemiche, le chiama fellinianamente «bella confusione», invita a rimboccarsi le maniche. Ha già tante idee: andare oltre «gli 11 giorni del macro evento», una Festa del cinema estiva («Roma è la città che meglio si presta»), botteghino e autorialità insieme «perchè uno più uno faccia più di due», e d'altronde, ricorda, «sono io che ho reinventato la Piazza Grande di Locarno, ho sdoganato il cinema americano». Locarno, e Rotterdam, i suoi modelli di «festival delle città, per riaccendere la luce su Roma capitale del cinema». A ridimensionare le sezioni non ci pensa proprio: «Sarei matto a lavorare per un impoverimento del festival, penso ad arricchirlo. Non potrei essere più felice: torno a Roma per un progetto entusiasmante che vuole aderire ai bisogni di chi il cinema lo fa, lo fa vedere, lo va a vedere. Per 22 anni ho conosciuto Roma come uno straniero, ora devo rifamiliarizzare con tutto. Voglio farmi possedere dalle visioni, dai desideri e dai sogni di chi fa film». E poi c'è l'aspetto business: «Roma deve diventare una delle due-tre piattaforme del cinema del continente, e non penso solo all'Europa. Aiuto dei privati? Sarebbe straordinario». In cda tutto come previsto: a votare contro Andrea Mondello (Camera di Commercio) e Massimo Ghini (Provincia), astenuto Carlo Fuortes (Auditorium), a favore Michele Lo Foco (Campidoglio), Salvatore Ronghi (Regione) ma soprattutto Ferrari. Due voti, i suoi, che Rondi, sostenitore di Detassis e dimissionario dopo un lungo pressing politico, non avrebbe mai potuto assicurare. E se da Palazzo Valentini oggi è silenzio (il presidente Zingaretti non è mai stato tenero verso il metodo che ha portato a Muller), esultano Alemanno e Polverini: «Ha una professionalità - dice la governatrice - riconosciuta a livello internazionale, e potrà dare nuova energia al Festival, anche dal punto di vista del mercato». «Aprirà un nuovo ciclo per il Festival - aggiunge il sindaco - e farà crescere il suo radicamento nella capitale. Ora basta polemiche». Che però iniziano ancora prima del cda. Mondello arrivando mette le mani avanti: «Il problema sono le compatibilità economiche». E in cda sgancia la bomba, il buco da 1,3 milioni nel bilancio potrebbe arrivare a 2,5, una cifra da messa in liquidazione. «Cifre fantasiose - taglia corto Ferrari - ne dobbiamo ancora parlare». E poi c'è il caso del contratto di Muller: Lo Foco, lasciando il cda, spiega che lo stipendio «è lo stesso della Detassis, 150 mila euro l'anno» (lei smentisce indignata: «Ne prendevo 100 mila»), ma che «il contratto deve essere ancora firmato, per cui il quadriennale sarà stabilito la prossima volta». Insorge il Pd Roma: «Si parla di 200 mila euro. Non accetteremmo mai che Alemanno tagli servizi per dare i soldi a Muller».