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Evviva Panariello, il comico che non vuole la rivoluzione

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Prima serataIl cabarettista toscano conquista il pubblico La Dandini lo addormenta. La satira piace senza politica

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Panariello,con ironia, ci scherzò su: "E' finito un incubo". Quasi cinque anni dopo l'ironia del comico toscano, tornato alla televisione (su Canale 5, il lunedì in prima serata) dopo un viaggio nel teatro, pare intatta, almeno nel titolo dello show: "Panariello non esiste". Così com'è intatto il manicheismo italiano, la mania di dividere il mondo in buoni e cattivi che ci portiamo addosso persino nell'intrattenimento, tra apocalittici & integrati, intelligenti & deficienti, satira & comico. L'ultimo di questi binomi, satira & comico, nell'Italia di Mario Monti e del suo Governo tecnico pare ribaltata a vantaggio del secondo, l'umorismo leggero e non impegnato, impolitico. Quasi una dieta - verrebbe da dire - dopo vent'anni di satira antiberlusconiana ed antipolitica che ha segnato volti e facce del potere nazionale. I dati di ascolto del nuovo programma di Serena Dandini, The show must go off (sabato sera, prima serata, La7) stanno lì a memento di una crisi della satira. Nella puntata di sabato 10 marzo, 1,99% di share, con 451mila spettatori; il 3 marzo 787mila spettatori, con il 3,4% di share ed il 25 febbraio 2,69%, con 649mila spettatori. Il genere satira politica - nell'attesa di vedere i risultati del nuovo programma di Sabina Guzzanti (Un, due, tre stella) - che debutterà stasera, in prima serata, su La7 - è in crisi. A vantaggio del comico. E proprio Panariello - ma pensiamo anche al grandissimo successo di Fiorello, con il suo più grande spettacolo dopo l'weekend, varietà con dentro momenti comici ma non certo satirici - ne sta raccogliendo i frutti. La seconda puntata, andata in onda lunedì 12 marzo, ha toccato il 21,80% di share con 5 milioni e 389mila spettatori, registrando un calo rispetto alla prima de il 5 marzo che aveva raggiunto il 27,29% con 6 milioni e 581mila spettatori, ma mantenendosi comunque sopra la soglia del 20%. Gli ascolti di Panariello oltre a segnare un ritorno prepotente, nella tv generalista, del nazionalpopolare danno il la anche ad un ragionamento su comicità e satira in Italia. Troppo spesso da parte delle élite italiane e degli intellettuali c'è stato un atteggiamento da puzza sotto al naso nei confronti della tv e di una certa comicità, anche al cinema. La serie A e la serie B sono una grande passione divisoria di chi si crede migliore degli altri. Eppure, da Totò - oggi strarivalutato - a Macario, passando per Bombolo, maschera al confine tra il comico ed il tragico dell'Italia anni Settanta, il meglio della comicità nazionale si è avuto nel disimpegno dalla cronaca politica. Il feroce Roberto Benigni di Televacca (sociale e volgare) è di certo più sapido del Benigni che scherza sul pisello dei politici negli anni Ottanta. L'unanimismo in favore della satira come genere nobile, un unanimismo cresciuto a dismisura durante l'era di Berlusconi, ha finito col diventare uno dei (tanti) vizi nazionali. Peccato, perché la satira è essenziale purché non diventi maniera. Ora che il Cavaliere non sta più a Palazzo Chigi, beh quale occasione migliore per ripensare e rinvigorire il genere. Senza complessi di superiorità e non a svantaggio del comico che agli italiani piace assai. Lo stesso Panariello, qualche anno fa, parlando di Beppe Grillo, ebbe a dire: "E' lontano dal mio modo di lavorare, ma gli riconosco un grande coraggio perché un giorno tutte queste cose le pagherà. Io vorrei dire tante cose, ma non ho la sua struttura, sarei indifeso sul contraccolpo, preferisco dire le mie cose, in maniera sommessa, mettendomi dalla parte della gente, interpretando quello che pensa". Evviva Panariello, dunque, un comico che non si crede l'assoluto.

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