«Monti adesso faccia il salva-Belpaese»
Paesaggio Per Ilaria Borletti, presidente del Fai si punti allo sviluppo del patrimonio culturale
Melo ha proposto la Mondadori e volentieri ho accettato. Credo sia utile adesso che vogliamo lanciare su scala nazionale il Fai, finora vissuto principalmente sulle delegazioni regionali». Ilaria Borletti Buitoni, milanese, della famiglia che ha creato La Rinascente, da due anni Presidente del Fondo Ambiente Italiano e moglie dell'industriale umbro dei prodotti alimentari, spiega così la genesi di «Per un'Italia possibile», il volume che esce oggi, in coincidenza con la presentazione della Giornata Fai di Primavera. Signora Borletti, quanto è ancora possibile l'Italia? Il libro che firmo è una sorta di manifesto per una rinascita che tutti deve coinvolgere. Il Belpaese è possibile ancora, nonostante tanta distruzione di paesaggio. Bisogna intervenire subito. Le strade sono due. Tutelare paesaggio e beni culturali. Ma soprattutto mettere al centro della strategia l'idea di sviluppo del patrimonio italiano, in sinergia tra utilizzazione e difesa. La politica può diventare idea forte per simile piano? Lo deve. All'estero la ricchezza culturale porta frutti nella misura in cui è tutelata. Da noi non è avvenuto. Ci sono state altre priorità, giustificate con l'affermazione che gli sforzi della politica dovevano indirizzarsi verso la crescita. Ma in Italia paesaggio è crescita. Ha regioni senza industrie però geneticamente la loro vocazione produttiva combacia con sviluppo culturale. Esempi concreti. La Basilicata. Regione bellissima ma che soffre di tutto. Dei giovani che non trovano lavoro e vanno via, di campagne abbandonate, di isolamento. Qui è necessario puntare sul fascino del territorio e investire in infrastrutture. Si può fare rispettando il paesaggio. Il discorso si allarga alla rete ferroviaria. Si va in poche ore da Napoli a Milano, ma quando il percorso è trasversale, quando si devono raggiungere l'Umbria, il Molise, la Basilicata, allora le distanze paiono insormontabili. È l'idea non nuova di sviluppo collegato a turismo sostenibile. Sì, ma dai propositi si deve passare infine alla realizzazione. Un modello di sviluppo compatibile attiva un circolo virtuoso. Può trascinare con sé il recupero dei centri storici, il risanamento di monumenti, boschi, costiere. E può scontrarsi con no ideologici: contro le discariche per esempio. Sulle discariche ci sono norme europee precise che indicano altre scelte di smaltimento dei rifiuti. Siamo indietro di 25 anni. Allora era il tempo delle discariche, oggi è scaduto. Se poi urgenza ed emergenza le impongono, almeno si individuino luoghi lontani dai nostri gioielli, come Tivoli, tra i siti artisticamente più importanti del Lazio. Ma, ripeto, il punto è un altro. Si deve affrontare il problema sapendo che la soluzione-discarica è giudicata out dall'Europa. Si combattono anche le pale eoliche. Non è impossibile una scelta oculata e libera da pressioni politiche. Talvolta le pale vengono installate dove non c'è vento. O dove non esiste l'infrastruttura capace di immettere in rete l'energia prodotta. Lo stesso dicasi per i pannelli solari, ormai ovunque. All'estero vengono installati sui capannoni industriali». Poi c'è la guerra alla Tav. Sbagliata. La decisione è ormai irreversibile e scaturita da un lungo iter anche a livello consultivo. Gli ambientalisti sinceri nel no Tav sono sopraffatti e manovrati dai violenti. Ma lei, da presidente del Fai, approva il governo Monti? E che cosa gli chiederebbe? Ho fiducia in Palazzo Chigi perché vi siedono persone competenti e perché, libere da scadenze elettorali, non seguono il termometro del consenso. Detto ciò, a Monti direi: la prima fase del suo governo si è concentrata sull'emergenza economica, ma adesso è il momento di pensare alla valorizzazione del patrimonio culturale in termini di sviluppo. È urgente il riordino delle norme che riguardano paesaggio e monumenti, sfoltendo la selva di indicazioni frenanti e contrastanti». Il «caso Colosseo» è un esempio. Sono favorevole all'impegno dei privati nella conservazione dei beni culturali perché lo Stato da solo non ce la fa. Dunque, la via è o quella di ricorrere a istituti come il Fai, fondazione di interesse pubblico, o agli sponsor, come Della Valle. È chiaro che si deve intervenire in modo trasparente. Ma è anche chiaro che a uno sponsor da 25 milioni di euro non si può chiedere che cancelli il suo marchio dall'intera operazione. All'estero come funziona? Non esistono reazioni ideologiche o i lacciuoli amministrativi quando un privato investe in cultura. Alla National Gallery di Londra un'intera ala è stata realizzata da un gigante dei supermercati, Sainsbury. Porta il nome dello sporsor e nessuno si scandalizza. L'ultimo monumento «adottato» dal Fai. L'abbazia di Cerrate, opera del Duecento nella provincia di Lecce, che ce l'ha affidata per 30 anni. Operazione ottima: è splendido monumento ma di dimensione adatta alle nostre risorse. È al Sud, un pozzo di ricchezza per il Paese. Ha configurato un importante rapporto con una pubblica amministrazione. Lei conosce gli sfaceli irreparabili del Belpaese ma è ottimista. Perché? Dall'osservatorio del Fai incontro un numero sempre maggiore di cittadini attenti al patrimonio culturale e rafforzati nella coscienza civile.