John Belushi l'ultimo imperatore con alloro e toga
Lamaggior parte dei film di oggi fa sentire le persone inadeguate, io no»: con queste semplici parole John Belushi spiegava il suo successo. Lui la pretesa di essere perfetto di certo non l'aveva, anzi. Hollywood che, a parte le leggende sul mondo dorato delle star, non ha mai sopportato chi non è puntuale, a lui ne ha fatte passare tante. John Belushi, del quale il fratello Jim, l'amico di sempre Dan Aykroyd e l'intero mondo dello spettacolo celebrano il trentennale della scomparsa, si presentava sul set quasi sempre ubriaco e perennemente in ritardo. Ma in fondo andava bene così, perché lui, John Adam Belushi, nato da una famiglia di immigrati albanesi nella Chicago dei gangster, il 24 gennaio 1949, interpretava personaggi spesso ubriachi e in ritardo. Comunque stralunati, come nella pellicola che gli ha dato la celebrità: «Animal House», del 1978. Il film, che ha dato il via al filone «studentesco» e ne è il prodotto migliore, termina con una battuta agghiacciante. Per un'ora e mezza si susseguono scherzi, feste, vita sregolata e bugie di un gruppo di studenti che di tutto ha voglia, meno che di studiare. Alla fine una serie di secche didascalie informa sul futuro dei protagonisti dopo le vicende narrate. Il più sciocco, lazzarone, ubriacone della compagnia, tal John Blutarsky, per gli amici semplicemente «Bluto» (interpretato dal miglior John Belushi della storia del cinema) diventerà... senatore degli Stati Uniti. Quella didascalia, buttata lì alla fine della commedia di John Landis, strappa al pubblico l'ultima fragorosa risata. Sì perché con appena nove film e la sua intera vita artistica John Belushi non solo ha tracciato l'apologia e il riscatto di mediocri e pasticcioni, ma ha anche dimostrato che possono diventare i migliori e i più amati. Tanto che a tre decenni dalla scomparsa la sua fama è intatta come un cristallo. Il canale Studio Universal (Premium Gallery sul digitale terrestre) ricorda il comico così: oggi, a partire dalle 15, un Focus esclusivo che ne racconta la carriera e due commedie del 1981 che lo vedono protagonista: «Chiamami aquila» e «I vicini di casa». In più appuntamento ogni sabato in seconda serata con 2 episodi del «Saturday Night Live», in versione originale sottotitolata. È il 1975 quando, dopo molti spettacoli e un programma radiofonico, Belushi si trasferisce a Los Angeles per partecipare allo show più innovativo della storia della tv: il «Saturday Night Live». Il successo è straordinario. Su quel palco, stimolante ed anticonformista, Belushi è un mostro di bravura. Si esibisce in un campionario sterminato di personaggi che regalano allo show un successo enorme. Al «Saturday Night Live» nasce e si consolida l'amicizia con Dan Aykroyd che, magro, alto e dal carattere riflessivo, è il perfetto alter ego di Belushi. Insieme creano la celebre coppia di comici che sarà protagonista di uno dei film più famosi di tutti i tempi: «The Blues Brothers», dell'80. Ma Belushi non è uno facile: da quel programma che, secondo lui, non lo valorizza abbastanza, si sente «derubato» ed inizia a criticare aspramente la produzione. Esasperato dalle intemperanze e dalla spericolata follia di Belushi l'autore e produttore Lorne Michaels lo licenzia e lo riassume un numero infinito di volte. Le loro liti diverranno celebri. E poi troppo cibo, alcool, tranquillanti, ma soprattutto droghe, cocaina, anfetamina e acidi, scandiscono la vita di questo uomo geniale, nevrotico ed infelice. «La scena - disse una volta - è il solo posto dove sono consapevole di quello che sto facendo». Un eterno «bambino». A diventare «grande», d'altro canto, non ci riuscirà mai: John Belushi, dopo una memorabile festa hollywoodiana, fu trovato senza vita in un hotel di Los Angeles il 5 marzo 1982. Aveva da poco compiuto 33 anni. La sua tomba è sovrastata da un teschio con tibie incrociate, che starebbe meglio sulla bandiera di un pirata piuttosto che in un cimitero. Sulla lapide è inciso: io posso anche essermene andato, ma il Rock and Roll sopravviverà.