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Mezzo secolo di pop e l'immensità del suo "Caruso"

Lucio Dalla

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Il tour europeo di Lucio Dalla si sarebbe dovuto concludere all'Olympia, il tempio della canzone francese. Solo a pochi interpreti italiani è toccato l'onore di calcare quel palco. Lucio non ha fatto in tempo, ma in queste ore le emittenti radiofoniche di tutta Europa stanno trasmettendo "Caruso", certamente la canzone italiana più nota all'estero negli ultimi trent'anni. Lo stesso accadrà in America del sud: è lì che si contano una buona maggioranza degli oltre trentamilioni di copie che il disco ha venduto. Eppure la carriera dell'artista bolognese non è certo nota per la sua rapidità. Debutta giovanissimo nella sua Bologna come jazzista dixieland. A sedici anni scalza Pupi Avati dal podio di miglior clarinettista di jazz tradizionale. Una breve milizia nelle formazioni più accreditate e nel 1962 l'approdo nei Flippers, valida formazione romana di cha-cha-cha. La carriera di cantante inizia nel 1963, in seguito all'incoraggiamento di Gino Paoli. Dalla partecipa al Cantagiro di quell'anno con "Lei", versione italiana di "Careless love" di Ray Charles. Insuccesso totale, spesso non riesce nemmeno a portare a termine il brano. Nel 1966 è al Festival di Sanremo con "Pafff…bum", un brano ironico e trasgressivo, zeppo di quei vocalizzi che avrebbero caratterizzato il suo genere, ma non riesce nemmeno ad entrare in finale. L'anno dopo ci riprova con "Bisogna saper perdere" e va un po' meglio. Riesce a farsi apprezzare per il suo talento e per quella bonaria follia, per esempio in brani come "Quando ero soldato". Nel 1970 arriva il suo primo successo da autore, "Occhi di ragazza", grazie all'interpretazione di Gianni Morandi. L'anno dopo torna a Sanremo con "4 marzo 1943"(giorno della sua nascita), che nelle intenzioni della sua autrice, Paola Pallottino, avrebbe dovuto chiamarsi "Gesù Bambino". È il grande successo di pubblico, confermato negli anni successivi da brani quali "Il gigante e la bambina", "Piazza grande", "La casa in riva al mare". Gli anni 1974-1977 sono contrassegnati da lunghi ripensamenti, dall'incontro con il poeta Roberto Roversi, dall'esigenza di prendere le distanze dalla musica leggera propriamente detta. Album quali "Anidride solforosa", "Automobili" e "Com'è profondo il mare" definiscono il suo stile ironico e beffardo, premiati peraltro da un successo incondizionato. La collaborazione con Francesco De Gregori in "Banana Repubblic" disco e tour (replicato a trent'anni di distanza) fanno di Dalla un n.1. "Lucio Dalla", "Dalla", "Dallamericacaruso" e "Cambio" vendono milioni di copie, ma a conti fatti rappresentano soltanto l'inizio di un nuovo cambiamento di rotta. Da questo momento Lucio Dalla, pur non disdegnando il successo da hit parade - per esempio "Attenti al lupo" - diventa un campione della diversificazione. Un giorno è autore, il giorno dopo regista, firma balletti, opere liriche e film, approda in tv, scrive libri e lancia in qualità di produttore una miriade di nuovi artisti. È il suo modo per non perdere la vena e i nuovi stimoli, ma soprattutto per non annoiarsi. Sono anni in cui rifiuta partecipazioni televisive e tour prevedibili, brani di altri autori e gare a premi. Un periodo in cui riesce a concentrarsi sui suoi progetti, anche se per qualcuno si tratta di un cono d'ombra stilistico. Con gli anni Novanta il suo modo di cantare (ma anche la sua stessa essenza di salire su un palco) ne fanno una sintesi matura di ispirazione e felice tradizione musicale italiana, ma al tempo stesso in grado di intercettare i gusti e gli umori dei moduli espressivi internazionali. Rispetto ai suoi colleghi degli anni Sessanta-Settanta, a cui appartiene gene razionalmente, è l'unico a non cedere al revival, ai facili abbinamenti, alla classica riproposizioni dei successi scontati che il pubblico predilige. Al contrario, Dalla continua nella sua mutazione, nella feroce inquietudine che ne ha contraddistinto lo stile e qualche volta le ingenuità. Negli ultimi dieci anni, forse in assenza di grandi successi, ha dimostrato di essere un grande comunicatore, un artista mai domo, in grado di spostare gusti e masse, in un ideale mix fortemente disinibito. A cominciare dall'ultima edizione del Festival di Sanremo, che lo ha visto salire impunemente sul podio del direttore d'orchestra.

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