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Il racconto di Avati: "Mi mancheranno le telefonate di notte"

Pupi Avati

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Ne parla ancora al presente. E non si corregge. Pupi Avati è sul set quando gli dicono che è morto Lucio Dalla. E pensare che se oggi fa il regista lo deve proprio a lui che, una volta, voleva buttare «affettuosamente» giù dalla finestra. Per pura invidia. Pupi Avati, con Lucio Dalla un'amicizia che risale all'adolescenza. Cosa vi legava? Lo conosco da quando aveva 16 anni. C'è un grande affetto tra noi. Intimo e professionale. Ci conoscevamo nel profondo. Siamo diventati adulti e anziani insieme. Qual è la prima cosa che le viene in mente pensando a lui? Le nostre interminabili e frequenti telefonate notturne. Parlavamo di arte e religione. Dalla era credente? Lo siamo entrambi. Parlavamo del mistero e della sacralità della creatività. In queste chiacchierate le parole di Lucio erano terapeutiche per me. Per superare tutte le mie paure. Quali erano le vostre paure? Per un uomo di 73 anni come me, la paura più grande è la morte. Morire in solitudine. Dalla, invece, era sempre capace di tenere in vita una dose di ottimismo che era contagiosa. Prima di tutto vi ha legato la musica. Cosa ricorda degli anni in cui eravate nella stessa jazz band? Ricordo quegli anni con grande gioia e invidia allo stesso tempo. Quando Lucio entrò nella band il clarinetto non lo sapeva nemmeno suonare. Nel giro di due anni era diventato il più bravo di noi. Aveva bruciato le tappe. Si capiva che aveva una marcia in più. E io nutrivo per questo un profondo senso di invidia. Tanto che, alla fine, decisi di mollare la musica e dedicarmi completamente al cinema. Ma la figura di Dalla ha continuato a seguirla anche nel lavoro di regista o sbaglio? Mi ha seguito sempre. La nostra storia di invidia adolescenziale l'ho raccontata in «Ma quando arrivano le ragazze?». E poi Lucio ha curato le colonne sonore di molti miei film tra cui «Gli amici del bar Margherita» e «Il cuore grande delle ragazze», uscito solo l'anno scorso. Qual è l'aneddoto più divertente che ricorda del suo rapporto con Dalla? Certamente quando eravamo in tournée con la band. Da ragazzi. In giro per l'Europa abbiamo dormito nella stessa stanza. Mi ricordo una sera, quando in un albergo svuotammo la camera di un musicista più grande di noi. Gli togliemmo tutti i mobili e i vestiti. La faccia della nostra vittima che torna in camera resta una scena indimenticabile. Ancora oggi. Qual era il suo maggior pregio e il peggior difetto?  La generosità. Basta pensare all'ultimo Festival di Sanremo, dove ha accompagnato un giovane praticamente semi sconosciuto ai più. Di difetti non ne aveva nessuno. Cosa ci lascia? Una delle più alte pagine di poesia in musica. Poi il maestro si gira e urla agli attori: «Ciak! Azione». The show must go on.

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