Ferretti&LoSchiavo, la fabbrica dei sogni
Talento italiano. Immaginazione, cultura, eleganza, azzardo, lavoro di squadra, artigianato, arte. Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, marito e moglie, lui scenografo, lei set decorator (significa la scelta degli arredi, dei dettagli scenici). Insomma una «ditta» che è paradigma all'estero del Belpaese vincente. Ieri a Hollywood hanno incassato la terza statuetta della carriera (le altre per The Aviator e Sweeney Todd), riscattando con il premio alla scenografia Hugo Cabret, il film di Martin Scorsese che si aspettava qualche riconoscimento in più. La potenza visionaria del grande orologio nel quale si accuccia il piccolo Hugo per aggiustare le lancette ai tempi di Mélies è uno dei sogni inventati per il cinema dal marchigiano 69.enne Ferretti. Lui è geniale e introverso, quanto è vulcanica, pratica, raffinata lei. Sempre insieme, Francesca col ruolo di «regista» di ogni apparizione, dall'intervista ai red carpet. E infatti è lei che dice la cosa comunicativamente ed emotivamente più giusta quando sotto i riflettori dell'Academy Awards stringe col marito l'Oscar numero 3. «L'Italia è il Paese al quale appartengo, nel quale mi sono formata, saluto la mia terra oltre che Martin Scorsese». Uno spot per lo Stivale che il premier Monti potrebbe inserire nei programmi di Cresci Italia. Continua Francesca, nella notte hollywoodiana: «Degli Oscar vinti il più bello è senz'altro l'ultimo, anzi il quarto, quello che deve venire». E se le chiedi quanto l'ha aiutata essere italiana, risponde di getto: «La nazionalità non ha confini, ma essere cresciuti in un posto pieno di arte e di cultura, potendo fare gli studi classici, certo aiuta». «Bottega italiana sbaraglia effetti speciali e tecnici che imperversano nel cinema Usa», commenta il regista Marco Risi. È vero. Basta andare a trovare Ferretti, come ha fatto Il Tempo, nella sua fucina creativa, allo studio 8-9 di Cinecittà. Nello spazio tutto bianco campeggia un enorme tavolo da lavoro. Grandi fogli, bianchi e disegnati, matite, squadre, pennarelli, strumenti di lavoro. Un post it con la scritta «L'ottimismo della sragionevolezza» e poi quadri, libri, bozzetti, modellini delle «macchine» uscite dalla sua fantasia. C'è la biblioteca de Il nome della rosa, ci sono gli interni di The Aviator, la forma di cartapesta per l'Amleto di Zeffirelli, il mascherone dorato del Münchausen di Gilliam. E i bozzetti per il set di Gangs of New York, girato tutto negli studios sulla Tuscolana. Di Martin Scorsese Ferretti&Lo Schiavo sono ormai collaboratori fissi, toccano la decina di pellicole. il regista descrive con puntiglio ossessivo quello che vuole ma loro lo capiscono comunque al volo. Per Shutter Island, protagonista DiCaprio, si è girato a Boston, ma con interni ed esterni per la maggior parte ricostruiti. Nello studio 8-9 di Cinecittà Ferretti sta da 35 anni e finché ha potuto ha trascinato qui le produzioni straniere. È successo anche con Titus di Tymor. Il suo passato sono i grandi cineasti italiani, Fellini, Scola, Petri, Ferreri, Pasolini. Il presente e il futuro è all'estero. In Italia solo teatro e allestimenti, dall'Expo di Milano al Museo Egizio di Torino, pronto entro il 2013. «La crisi si sente meno con le grandi produzioni statunitensi, l'industria del cinema qui è ancora florida - dicono - Magari un giorno torneremo ad avere set in Italia, quando il settore si risolleverà». Magari. Intanto gli scenografi (italiani) più famosi oltreoceano incassano gli auguri del presidente della Repubblica Napolitano.