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L'uomo che rideva della vita

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Dalle donne ai tanti successi internazionali Pregi e difetti dell'attore simbolo della Dolce Vita

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Alpari di Fiorello, Chiari amava suonare la tromba. Fiorello non è andato al di là di qualche gag televisiva, mentre l'attore veneto-lombardo-pugliese aveva un gran rispetto per lo strumento, al punto da passare molti mesi a «farsi il labbro» come si dice in gergo. Ne ha sempre avute diverse in casa di trombe, fra cui una meravigliosa Martin, omaggio di Dizzy Gillespie, il più grande fra i boppers. Walter Chiari era grande amico di Louis Armstrong, Roy Eldridge, Miles Davis, Dave Brubeck, il gotha dei jazzmen americani degli anni Cinquanta e Sessanta. Li aveva conosciuti grazie alla sua personale amicizia con George Wein, potente impresario e organizzatore del Festival Jazz di Newport. La sua perfetta conoscenza della lingua inglese gli permetteva di cogliere ogni sfumatura del gergo afro-americano dei musicisti. Se ne dovette accorgere con stupore e meraviglia Lelio Luttazzi, suo grande amico. Luttazzi, sincero appassionato di jazz, seguì l'amico attore a New York. Per la prima volta in America, Luttazzi si trovò a contatto con tutti i musicisti che aveva idolatrato per una vita e allorchè Chiari gli presentò Erroll Garner la meraviglia lasciò il posto al sogno ad occhi aperti. A pensarci bene l'approccio comico di Chiari è sempre stato di tipo jazzistico: esposizione del tema, assolo, improvvisazione. Sia in teatro che in tv. Una volta al Carignano, in occasione di una replica di «Buonanotte Bettina», si presentò sul palco che annunciare alla platea che lo spettacolo era rimandato: Delia Scala era rimasta in hotel con 40 di febbre. Improvvisò e ritornò in camerino dopo tre ore. Si definiva un cicalone povero e contento, sempre pronto a raccontare con ironia le sue avventure di 50 anni di gloriosa carriera. Alla fine degli anni '40 guadagnava circa venticinque milioni a film, circa un milione di euro di oggi. Eppure morì povero in un residence di Milano nel dicembre del 1991. Troppi approfittarono del suo modo di vivere e della sua bontà, alcuni lo derubarono deliberatamente. Il gesto di recitare con lui si identificava con l'aspetto esistenziale. Difficile scorporare, forse poteva intuire quando era il momento di recitare e quello di vivere, ma per il suo pubblico faceva lo stesso. La sua gioia era violare le regole e nessuno sapeva farlo meglio di lui. L'inglese l'aveva imparato da Ava Gardner, che amò follemente dal 1953 al 1957, soffiandola a Frank Sinatra, scrivendo una delle pagine più memorabili della cosiddetta dolce vita e di quella che sarebbe stata la regola non scritta fra celebrità e fotoreporter. In quell'età del boom fu l'anti Sordi, forse l'anti-italiano; così protetto l'attore romano, così scellerato Walter, all'inseguimento delle sue donne con tutti gli aerei del mondo. Un magnifico istrione che poteva passare da Beckett a «Canzonissima», da Simon a «Studio Uno», vaniloquente e ritardatario fino all'esasperazione ma sempre irresistibile. A parte la diva Ava, le sue donne, da Mina a Lucia Bosè, passando per Gabriella di Savoia e Patrizia Caselli, hanno sempre ammesso di essersi innamorate di lui perché mai avevano riso tanto. C'è da credere a tutte. Il temperamento generoso di un artista che seppe sempre essere vicino alla gente, si trasformò nella piena maturità in malinconia, in qualche caso rancore. Certo, avrebbe meritato di più e il suo dolore di grande dimenticato si esasperò con gli anni. Unico attore italiano a recitare in inglese in palcoscenici internazionali, non aveva una grande considerazione degli attori brillanti di nuova generazione. Per lui erano solo imitatori, salvava solo Beppe Grillo e Roberto Benigni. È stato il Peter Pan del nostro dopoguerra, un simpatico ragazzaccio in grado di conquistare ogni fascia di pubblico, bambini compresi, ai quali dedicava sempre un angolo speciale nei suoi siparietti tv. Una carriera in qualche modo brutalmente interrotta a 67 anni, quando si apprestava a debuttare come regista con «Ricorda con rabbia» di John Osborne. Fortunatamente le teche Rai sono zeppe dei suoi classici, dal mitico Sarchiapone alla maschera dei fratelli De Rege in coppia con Carlo Campanini, spalla insuperabile. Quando si sparse erroneamente la voce della sua morte, Dino Risi e Vittorio Gassman gli mandarono un telegramma: «Bentornato!». L'anno dopo purtroppo non si trattò di uno scherzo. Ma Walter Chiari fece in tempo a sdrammatizzare: «Quando sarà il mio turno vorrei solo che sulla lapide si scrivesse: Non preoccupatevi: è solo sonno arretrato».

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