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Il re degli chef che scoprì il gusto squisito

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Maperde senso al cospetto di chi in cucina fu «mago, sacerdote, sognatore e artista» quel Auguste Escoffier, re degli chef nella Parigi Belle Epoque, poeta e grande affabulatore di cibi e sapori nella cucina del suo restaurant, il mitico Petit Moulin Rouge, dove passarono i personaggi più illustri del tempo, divine come Sarah Bernhardt (che fu sua amante) e anche capi di Stato, teste coronate, nobili, grandes dames, avventurieri, cortigiane il bel mondo di un'epoca irripetibile. Escoffier è il protagonista di «Tartufi bianchi in inverno» di N. M. Kelby (Frassinelli) un libro avvincente e appassionato, che ripercorre, nelle vesti di un'autobiografia romanzata, la sua vita. La Kelby è volata in Italia da Minneapolis per presentarlo dopo che negli Usa ha avuto un enorme successo. Qual è la peculiarità che rende grande Escoffier? «Lui voleva illuminare le pietanze. Aveva un segreto, un metodo capace di catturare l'essenza, l'anima degli ingredienti» spiega la kelby che in patria conduce una trasmissione tv in cui prepara manicaretti in diretta». Di che si tratta? «Escoffier professava la teoria dei 5 gusti. Accanto a dolce, amaro, salato e aspro, aggiungeva la squisitezza, un gusto universale quello che i giapponesi chiamano umami, cioè saporito. Presente nella carne, formaggio e altri cibi a base proteica. Come un brodo scuro di vitello che di per sè non ha un gusto particolare ma diventa un esaltatore di sapore se abbinato ad altri ingredienti. E come base comune di tutte le salse». Il potere del cibo? «Immenso. Nutre il corpo e lo spirito degli uomini. Bisogna prestare massima attenzione nella sua preparazione, come insegna Escoffier, perché celebra la vita e anche la bellezza». Escoffier era un perfezionista maniacale, curava qualsiasi dettaglio perfino le sedie e il tavolo dovevano essere intonate con il cibo che veniva servito. Fu un piccolo (di statura) grande uomo passionale e innamorato delle donne che «ammise in tavola, a dispetto degli usi vittoriani, e pure in cucina». È un atto d'amore questo libro: «L'ho scritto perché mia madre, francese e aveva un suo ricettario lo consultava spesso, io bambina ne ero affascinata».

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