di Lidia Lombardi Un acquerello di Roesler Franz ritrae «L'Isola Tiberina imbiancata dalla neve».
Strettafra tre ponti, si distende nelle rapide del fiume, l'accompagna nel curvone - la terza ansa capitolina - quasi lo saluta nella corsa verso la foce, ad ovest. E ruba l'ultimo sole del tramonto, che fa più bianca la chiesa di San Bartolomeo e, alla punta opposta, la statua di San Giovanni Calibita che protegge gli infermi ricoverati al Fatebenefratelli. I due ponti che la ancorano alla terraferma - Fabricio e Cestio - brulicano di persone. Il bello è che non sono solo turisti. C'è la gente che frettolosa s'infila nell'ospedale. Il bambino che vuole scendere sul greto del fiume e la mamma ce lo porta tenendolo per mano e l'avvicina ai gorghi. C'è una ragazza che legge stesa sul travertino con cui i buoni quiriti accentuarono per la loro isola la forma di una nave, a rafforzare la leggenda che fosse in origine un bastimento incagliato nella rena. C'è chi corre in tuta sulla banchina, all'ombra del muraglione. E chi, su quel muraglione, ha scritto «Ti amo da qui...alla fine del mondo...di nuovo all'infinito». Un limen, l'Isola Tiberina. Con il vanto d'essere stata l'origine della maggiore potenza dell'antichità. Le popolazioni preromane che dal nord della Penisola volevano portare le loro merci al sud trovavano lo sbarramento del Tevere, insormontabile senza ponti. E quel pachiderma a forma di falce al centro, sotto i colli selvaggi di un Lazio mitico, era l'unico posto che permettesse il guado. Ecco perché a valle del Palatino e dell'Aventino i rustici pastori comiciarono a fermarsi. A tirar su stazzi per il bestiame e capanne e poi recinti, a fondare una città come fece Romolo. Misteriosa, l'Isola Tiberina. Già in quello strano ponte che la annuncia, perché fu buttato giù quando costruirono i Muraglioni: il Ponte Rotto, che in principio si chiamava Aemilius ed era il primo costruito in pietra dai Romani. Ecco poi la vicenda raccontata da Livio. Nel 292 a. C. i Romani giunsero in Grecia, a Epidauro, dov'era il santuario di Esculapio, dio della medicina. Se ne tornarono nell'Urbs con un serpente sacro, consegnato dai sacerdoti del dio. Il rettile sgattaiolò nel Tevere, strisciò fino all'isola, si nascose tra i canneti. Per questo la Tiberina è luogo di guarigione. Per questo nacque qui un lazzaretto, durante la peste del Seicento, e poi l'ospedale chiamato «Fatebenefratelli» per le implorazioni che poveri e infermi rivolgevano ai frati del convento. Nella piazzetta con la piccola edicola reggicroce s'apre il portico della chiesa di San Bartolomeo, sorta dov'era il tempio d'Esculapio. Domina il campaniletto romanico, s'affaccia la Torre dei Caetani. L'osteria di Sora Lella ha nel menù pasta e ceci con il polpo e pasta e broccoli con l'arzilla. Qualche innamorato ha attaccato lucchetti sul ponte. Melania Mazzucco ama questo posto più di tutti. Il giovane protagonista del suo romanzo «Un giorno perfetto» viene a sdraiarsi qui, cullato dal gorgoglio del fiume che fu biondo.