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di Carlo Antini Se oggi la battaglia contro il cancro può essere vinta lo si deve anche a Renato Dulbecco.

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Lacomunità internazionale lo riconobbe nel 1975, quando lo scienziato calabrese vinse il Nobel per la Medicina dopo aver scoperto «l'interazione tra i virus tumorali e il materiale genetico delle cellule». In altre parole Dulbecco ha concepito per primo il tumore come una malattia scatenata da un difetto del Dna. I primi sospetti si concentrarono sull'infezione da parte di alcuni virus (gli oncovirus o virus oncogeni) che riescono a introdursi nel Dna umano fino a diventarne parte integrante e alterandone il corretto funzionamento. Questi virus riescono cioè a trasformare una cellula sana in una cellula tumorale. Lo scienziato è morto domenica negli Stati Uniti, in California, dove viveva con la moglie, e il suo cruccio più grande è stato quello di non essere riuscito a diffondere anche in Italia un'adeguata cultura della ricerca scientifica. La prima decisione di lasciare il nostro Paese la prese nel 1947. Un viaggio verso gli Stati Uniti che cominciò con una sorpresa: «Senza saperlo, ci ritrovammo sulla stessa nave», raccontava Dulbecco ripensando all'incontro inatteso con Rita Levi Montalcini. «Facevamo lunghe passeggiate sul ponte parlando del futuro, delle cose che volevamo fare: lei alle sue idee sullo sviluppo embrionale e io alle cellule in vitro per fare un mucchio di cose in fisiologia e medicina». Dopo la fama e i successi internazionali, Dulbecco partecipò direttamente al Progetto Genoma Umano, il progetto internazionale che ha permesso di ottenere la mappa completa del Dna dell'uomo. Il Nobel tornò in Italia nel 1987 per coordinare i 29 gruppi di ricerca impiegati nella parte italiana dell'impresa, lavorando presso l'Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Milano. Il progetto, però, si arenò nel 1995 per mancanza di fondi pubblici. Da allora cominciò la spola tra Italia e Stati Uniti, dove si ritirò definitivamente a La Jolla dopo l'interruzione dell'attività scientifica. «Era andato via dall'Italia pensando che non sarebbe cambiato niente, che il Paese per la ricerca era ingessato - racconta Paolo Vezzoni che lo affiancò come vice presidente nel Progetto Genoma - Senza polemiche aveva una visione critica di quello che stava succedendo nel nostro Paese. Era amareggiato. L'esperienza fatta in Italia lo aveva davvero deluso». Tuttavia, spiega ancora Vezzoni, quando Dulbecco decise di tornare negli Stati Uniti «lo fece con l'amaro in bocca e, nel corso degli anni, la delusione nei confronti dell'Italia è rimasta costante anche se ad attenuarla hanno contribuito alcuni progetti di ricerca sulle cellule staminali che la Fondazione Cariplo aveva deciso di assegnare sotto la sua guida». Vezzoni è rimasto in contatto con il premio Nobel fino a un paio di mesi fa. «Era dalla scorsa estate che non stava molto bene - racconta il ricercatore del Cnr - L'ultima volta che l'ho sentito è stato in occasione delle feste natalizie. Ci siamo scambiati i saluti, ma non abbiamo fatto altri commenti. Allora, anche se si era un po' ripreso, non stava in perfetta salute». Fino a qualche mese fa le sue condizioni di salute erano buone ma nell'ultimo periodo aveva accusato alcuni problemi circolatori. Solo l'età avanzata e le condizioni precarie hanno interrotto la spola tra Milano e la California, dove lavorava presso l'istituto Salk. Profondo cordoglio viene espresso anche dall'Accademia dei Lincei di Roma di cui Dulbecco era socio. «Lo conoscevo molto bene - aggiunge il professor Luciano Martini, accedemico dei Lincei - Era uno scienziato di grande valore e faceva tutto con grande umiltà e perseveranza. Era una persona affabile e gentile. Il Nobel non l'ha vinto con ricerche svolte in Italia ma si è sempre sentito profondamente italiano». Il carattere aperto e gioviale di Dulbecco fu testimoniato dalla sua partecipazione come co-conduttore al Festival di Sanremo del 1999, accanto a Fabio Fazio e Laetitia Casta con cui fu protagonista di un ballo sul palco dell'Ariston. In quell'occasione ha devoluto il suo compenso in favore del rientro in Italia di cervelli fuggiti all'estero. «Quando riuscimmo a convincerlo a venire - ricorda Fazio - cercammo una definizione per presentarlo. L'aggettivo che ci parve più adatto fu coraggioso. Dulbecco ha vissuto una vita lunga e piena di successi. Da persona libera, di quella libertà mentale che è fondamentale per chi fa ricerca. Non è stato uno scienziato estraneo al mondo, ma aperto agli altri, forte di quel coraggio e lucidità che producono le visioni fuori dal comune di chi arriva alle scoperte. È stata una persona speciale, dolce di modi, dal sorriso magnifico e disponibile con tutti».

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