di Lidia Lombardi Ci saranno due «Ultima cena» di Tintoretto alle Scuderie del Quirinale, dove sabato si apre la mostra con 40 opere dell'artista veneziano che segnerà la primavera romana.
JacoboRobusti, detto Tintoretto perché il padre colorava i panni, le realizzò in periodi lontani, in giovinezza e nella maturità. E siccome era artista vibrante, che ci metteva l'anima, il turgore del cuore nelle sue opere, quei due banchetti di Cristo prima del Calvario riflettono due diverse weltanschauung. In quella del 1556 c'è l'immagine classica del tradimento, con la figura di Giuda in un cono di ombra e tutti gli altri scomposti attorno alla mensa. Nell'altra - del 1565-1570 - campeggia Gesù che in foga corrusca distribuisce il pane. Guardatela qua sopra, la tela di San Polo. Compendia l'arte dello scapigliato artista, tanto sanguigno e tormentato da aver ispirato due libri a Melania Mazzucco. La misura e la quiete rinascimentali - le cifre molli e serene che erano state di Tiziano, di 35 anni più anziano di Tintoretto e maestro indiscusso delle scena artistica veneta prima del suo exploit - vengono scardinate. I personaggi si contorcono, i corpi spasimano nel movimento. Cristo infila contemporaneamente la mollica nella bocca di due apostoli, un altro passa il pezzo di pane a un povero sdraiato a terra. Uno mostra il calcagno, come amerà fare Caravaggio. E c'è chi, scombinando il racconto del Vangelo, tende il tozzo a un bambinetto accucciato ai suoi piedi. Solo il traditore, in disparte, è fermo, composto. Tutti sono la vita, lui è la negazione della vita. A Roma lo vedremo in anteprima nei colori ritrovati, questo quadro. È appena uscito da un restauro durato tre mesi e realizzato con il finanziamento di Cariparma, impegnata come molti privati al sostegno del patrimonio culturale italiano. La pulitura ha restituito i colori. Così è tornato da verdastro ad azzurro il cielo nello squarcio di paesaggio all'angolo sinistro dell'opera. Bianchi invece che giallognoli gli edifici «palladiani» che lo riempiono. C'era sulla tela una patina - di polvere, della vernice usata in un intervento del 1899 - insieme con abrasioni generate da precedenti ed eccessivi metodi di pulitura. E anche quando in passato l'opera era stata rifoderata, il calore della stiratura aveva prodotto guasti. «Il dipinto è composto di ben dieci pezze di tela - spiega Giulio Manieri Elia, che ha diretto il restauro - con trama spessa, a spina di pesce. Il colore è steso in modo rapido, con pennellate sicure. Tintoretto utilizza largamente la trasparenza del colore sottostante». L'irruenza è anche nei «pentimenti». «In fase esecutiva - rivela ancora Manieri Elia - introduce cambiamenti o aggiustamenti nella posizione delle figure. Si possono individuare a occhio nudo: il giovane sull'estrema sinistra, ripensato nelle gambe, fianchi e schiena, il mendicante in primo piano, rivisto nelle spalle e nella schiena, la bambina sulla destra, oggetto di generale revisione». La tensione è tutta verso il realismo, la teatralizzazione. «Il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura», scrive di Tintoretto Giorgio Vasari. Ed Ernst Gombrich parla delle «apparizioni fiammanti del Tintoretto o del Greco». La mostra alle Scuderie lo testimonia. Ecco i teleri, le enormi pezze di stoffa sulle quali, come in un palcoscenico, sistema figure di santi che camminano in strade sozze e convulse. C'è un'umanità stravolta nel lazzaretto dove scende San Marco («Miracolo dello schiavo» delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, un'opera di cinque metri). Ci sono le «Santa Maria egiziaca» e «Santa Maria leggente» della Scuola Grande di San Rocco. E i ritratti, da «San Giorgio uccide il drago» dalla National Gallery di Londra, a «Venere, Vulcano e Marte» che vengono da Monaco o «Susanna e i vecchioni», prestata da Vienna. L'ultima sezione è quella dei confronti tra Tintoretto e i coetanei e conterranei o comunque attivi in Laguna. Schiavone, Veronese, Parmigianino, Jacopo Bassano. Ma Vittorio Sgarbi, che ha curato l'esposizione, dà spazio agli artisti meno conosciuti, che sono poi la sua specialità di studioso. E, per esempio, accende i riflettori su Giovanni Demio. La mostra si snoda seguendo temporalmente la vita di Jacopo Robusti. «Il miracolo dello schiavo» in apertura. É del 1548, Tintoretto ha 29 anni. «É il lavoro più importante», s'entusiasma Sgarbi. La «colonna sonora» della sequenza della sale è della Mazzucco. È stata cinque anni a Venezia, per seguire passo passo la vita dell'uomo «più chiacchierato del suo tempo», come scrive nel catalogo Skira. Ne ha tratto un romanzo, «La lunga attesa dell'angelo», in cui fa dell'artista il padre padrone ossessionato dalla figlia illegittima, Marietta. E una biografia, «Jacomo Tintoretto e i suoi figli. Storia di una famiglia veneziana». Del suo eroe ha detto: «È un maestro dell'inquadratura».