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Materia e psiche sono legate come universi interconnessi

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Eccoche allora la materia diventa calda, scoppiettante, demiurgica. In essa si ritrova qualcosa di molto poco meccanico, come congegni, informazioni e comandi capaci di pilotare evoluzioni imprevedibili. Lo sapevano bene due menti vulcaniche del secolo scorso, Silvano Tagliagambe, e uno psichiatra, Angelo Malinconico autori di «Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche» (Raffaello Cortina 2011, pp. 339). Uno è Wolfgang Pauli, il Nobel della fisica per i suoi studi di meccanica quantistica (che oltretutto è anche il teorico del neutrino). L'altro è Jung, padre, insieme a Freud, della scienza dell'inconscio. Insieme si sono consacrati a una curiositas interdisciplinare che in realtà è una pretesa vecchia come il mondo: da Spinoza ai moderni neurologi la storia del pensiero è costellata dai tentativi di umiliare lo «spirito» risalendo alla sua parentela con la materia, e viceversa, di risollevare le sorti della fisicità carpendone informazione e intelligenza. Tutto comincia nella Zurigo degli anni Trenta. Lì un giovane Pauli alla deriva, provato dal tragico suicidio della madre e da una delusione amorosa, si dà all'alcol e alla vita sregolata vagando come un'anima in pena per locali notturni, per approdare finalmente sul lettino di Carl Gustav Jung. E quella che doveva essere una banale terapia contro la depressione si trasforma ben presto in una diade medico-paziente tra le più prolifiche del Novecento: ne resta a testimonianza un libro pubblicato insieme, Naturklärung und Psyche, che è il tentativo faustiano di risalire a quella formula alchemica che ricapitoli in sé tutte le cose, ivi compresi i fatti di coscienza. È il sogno della traduzione integrale dell'alfabeto della realtà, che collega idealmente le antiche fucine per la trasformazione del metallo agli alambicchi degli alchimisti, fino alle attuali utopie sugli uteri artificiali. Tutte incarnazioni di una delle più tenaci velleità scientifiche: sfatare il dualismo secentesco mente-corpo, errore duro a morire che il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio addebita anzitutto a Cartesio (ma anche Platone ha fatto la sua parte). Allo stesso tempo si tratta, per il metodo scientifico, di riabilitare ontologicamente il «mondo là fuori», su cui secoli di scetticismi, fenomenismi e film blockbuster come Matrix hanno calato il sipario disorientante della fiction. La clavis universalis Jung e Pauli la rintracciano nell'idea della «complementarità», principio che abolisce i conflitti tra polo della riflessione e polo della materia. Fisica e psicologia ugualmente assumono come livello di riferimento non il fenomeno, inteso come un evento che si colloca in un preciso accadere spaziotemporale, bensì una pura potenzialità di manifestazione. Una fotografia fedele del livello di realtà sondato dal fisico contemporaneo e, insieme, della geografia dell'anima perlustrata nel setting analitico. Vista more quantistico, il principio di complementarità formulato dal fisico Niels Bohr, sulla scorta dell'indeterminazione di Heisenberg, vuole che l'osservazione del comportamento degli atomi sia per così dire «idealizzata»: «Qualsiasi applicazione non ambigua delle leggi dinamiche di conservazione in fisica quantistica implica una rinuncia in linea di principio a un'accurata coordinazione spazio-temporale» (seguono astruse dimostrazioni matematiche accolte con cieca fiducia dal lettore non specialista). Vista more psicologico troviamo invece quella strana psicosfera transpersonale che Jung chiama Anima: tecnicamente, una sorta d'infrastruttura collettiva retta su pilastri – i famosi archetipi - che spiegano perché passano secoli di storia, cambiano i continenti, eppure ci troviamo a combattere sempre con le stesse triangolazioni sentimental-metafisiche, così che i patimenti di Ulisse e Romeo sembrano tali e quali i nostri. Tagliagambe e Malinconico affrontano poi disquisizioni sulla regola aurea e altri meccanismi autopoietici per riconoscervi insospettate corrispondenze con le dinamiche dello spirito. Semplificando: che lo si voglia chiamare innatismo o biochimica, i copioni della mente son sempre quelli a prescindere dalle incarnazioni hic et nunc, e Jung ne rintraccia le cosiddette «dominanti» nei manuali di etologia e mitologia comparata. Per poi scoprire, insieme a Pauli, una costante fondamentale, che indica con il nome di «sincronicità». Una specie di sindrome da accoppiamento, che rende l'analisi un'ars culinaria, l'equilibrio psichico una questione di giusto mix degli ingredienti, e il malato un cuoco maldestro che abbisogna della tutela di uno psicologo gourmet che aggiunga agenti lievitanti all'impasto, magari ripescandoli nel minestrone riscaldato di atavismi e arcaismi. Ma il succo è che non si scampa a questa meccanica combinatoria, tutto ciò che non si appaia con le nostre corde purtroppo ci sfugge e i neuroscienziati possono tranquillamente motivarcelo con un algoritmo. Infine, è vitale anche la scelta del contenitore, poiché, spiegano i due studiosi, la materia psichica non è che la risultante di un rimbalzo biochimico agli stimoli esterni. Ergo, non resta che sposarsi con reagenti psicocompatibili, astenersi dai tossicomanie mentali e vigilare sulla cottura. Non dimenticando il sale.

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