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Una dichiarazione d'amore «A Gerusalemme», città unica

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Croceviaspirituale, scrigno di religioni che hanno prodotto civiltà, luce riflessa di divine epifanie, luogo di raccolta di popoli diversi uniti nella venerazione dell'unico Dio. Non è semplicemente una città. È piuttosto l'incantato approdo di millenarie storie umane e sovrumane che confondendosi, mescolandosi, contaminandosi si sono esposte alla meraviglia del mondo. Si può non amare una terra percorsa da soffi ancestrali di vitalità feconde che è divenuta nel tempo la città per antonomasia, l'agorà delle religioni e delle culture? Gerusalemme è l'inizio e la fine. Essa ha partorito la Redenzione e la Grazia che, sia pure declinate in maniera differente dai cercatori di Dio, sono gli elementi che fanno riconoscere una estesa comunità di credenti come discendenti dallo stesso spirito di fratellanza per l'origine e lo sviluppo della loro vicenda storica. Non è possibile trovare ragioni più profonde a giustificazione dell'amore per Gerusalemme. Se non le radici irrorate dal sentimento filiale che lega in maniera speciale chi ha avuto ed ha materialmente a che fare con essa. E Fiamma Nirenstein, appassionata figlia italiana, fiorentina ed in parte polacca di Gerusalemme, al culmine di un percorso amoroso, prima che civile e culturale, ha deciso di testimoniarlo a suo modo il legame profondo con la capitale della Terra Santa per antonomasia. In un libro appassionato, scritto con l'inchiostro del cuore e la trepidazione di un animo in pena, «A Gerusalemme» (Rizzoli, pp.214, euro 18,00), la brillante scrittrice condensa il suo canto d'amore alla città che non muore, che resiste orgogliosamente, che sfida con la sua storia i suoi più implacabili nemici, che s'intesta la singolarità dello splendore divino tra le macerie del tribalismo politico e vive la sua irregolare dimensione multietnica, multireligiosa, multiculturale con la naturalezza che le deriva dalla sua mitica origine regale e pastorale insieme, quasi a simboleggiare il legame tra i popoli e l'autoritá che nasce dal dettato divino: Mosé e Davide, profeti guardiani di armenti che si fanno condottieri per volere di Colui che li comanda all'osservanza ed alla diffusione dei precetti del diritto naturale. I templi di Gerusalemme custodiscono le tracce dello spirito che ha camminato tra gli uomini e oggi si è di fronte all'esigenza di preservarle a testimonianza di un'alleanza che nessuna ragione diplomatica politica dovrebbe proporsi di sciogliere. La vagheggiata divisione di Gerusalemme è una bestemmia. Ed è blasfemo chi soltanto l'immagine, un criminale chi la persegue. L'antica casa del primo e unico Dio, come dice la Nirenstein, è impensabile che subisca l'oltraggio dello smembramento per assecondare un fatuo, se non irrealistico, processo di pace. Ma con chi dovrebbe fare pace Gerusalemme? Essa è la pace. Lo testimoniano gli arabi, i cristiani e gli ebrei che ci vivono; lo cantano le pietre antiche e moderne che non recano i segni di rivendicazioni impossibili; lo dimostra la sua capacità di trasformarsi nonostante le tragedie o forse proprio in virtù delle stesse assunte come prove da offrire ad un mondo che non la comprende. La cordialità - il moto più evidente del cuore - si fa vita vissuta nelle strade della vecchia città: «Un calore elettrico ti attrae verso il tuo proprio nemico, vuoi tendere i palmi delle mani e scaldarti, finché la realtà prende il sopravvento», annota la scrittrice. E va oltre, si perde consapevolmente tra i simboli del passato e vi scorge i percorsi del tempo nuovo: la Gerusalemme che fu e resta e quella che avanza e si afferma. Con i suoi scrittori, intellettuali, artisti, gente variopinta dall'innato istinto creativo. Con le sue architetture moderne che non stridono con quelle arcaiche. Con i salmi ebraici, i canti cristiani e i richiami dei muezzin. Con le famiglie che si sentono più che in qualsiasi altro posto al mondo, partecipi di una comunità. Per tutto questo e molto altro ancora, «proteggere Gerusalemme significa tenerla aperta per le fedi ebraica, cristiana e musulmana alla pari», scrive la Nirenstein, per cui chi «predica la divisione» non pensa al bene della città che dal 1967 è fiorita. Forse è tempo di una nuova primavera. Gerusalemme ne ha vissute tante strappandole al destino che non le ha risparmiato i morsi. È dunque indispensabile che si faccia strada la consapevolezza tra le genti, che la Città del Dio unico è di tutti ed in essa riposa lo spirito incarnato. A Gerusalemme si compie, mentre noi siamo distratti, «l'idea che l'uomo debba vivere moralmente» e che il suo compito sia quello di camminare con determinazione verso la meta «del bene che Dio gli ha messo dentro». Così venne stabilito quando il mondo emetteva i primi vagiti e il tempo era innocente.

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