Ci sono due pietre miliari nella storia teatrale e discografica di «Madama Butterfly».
Pietremiliari perché scardinano lo stereotipo melodrammatico, smielato, finto esotico della adolescente giapponesina innamorata e madre. Scavando invece nelle tenebre dell'anima, nell'abisso di certezze che crollano, anche quelle nei confronti della lealtà e della correttezza dell'uomo occidentale. La Callas è sublime. La voce lieve eppure scandita del primo atto calca sull'amarezza nel secondo. Nel celeberrimo «Un bel dì vedremo» si accentua lo iato tra «Io me ne starò nascosta» e quello che segue. Insomma, la Grande Greca sfaccetta disincanto e amarezza, fa di Butterfly un personaggio "predestinato" alla tragedia e non un uccellino ferito, tanto lontano dal suo temperamento. La versione registrata da Sinopoli e Mirella Freni a Londra nel 1987 è di nuovo liberata dai luoghi comuni. Il suono è tagliente, vibrante, secco, mai svenevole. Pinkerton deve essere sparviero come non mai. Via le figure pittoresche, di genere, come gli zii Bonzo e Yakusidè l'ubriacone. Alcuni critici osservano che Sinopoli vuole fare del melodramma l'equivalente di un saggio sulla psicosi di deprivazione. E che la Freni entra in sintonia con la bacchetta solo nel secondo tempo. La sostanza è che anche in questo caso si recide il cordone ombelicale con le Cho-Cho-San tutte mossette e passettini della Moffo e della Tebaldi. La «rilettura» in chiave esistenziale, insomma la depurazione dal sentimentalismo facile, riflette poi la fortuna del melodramma. La prima nel 1904, a Milano, fu un fiasco. Il musicista di Torre del Lago si era innamorato della storia, che aveva visto sulla scena teatrale a Londra quattro anni prima. Era una tragedia in un atto di David Belasco, Puccini affida il testo a Giacosa e a Illica. Ma i fischi della Scala («Prima che l'opera finisse siamo scappati dal teatro», scrive al marito Ramelde, sorella dell'autore) impongono rapidi aggiustamenti. Si modificano l'aria del suicidio di Butterfly, l'arietta di Yakusidè. Insomma, si fa smagrire la partitura. Così viene il successo. Anche se resta un sentimentalismo datato anche per l'inizio Novecento. Lidia Lombardi