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Whitney, voce magica del pop

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Whitney Houston

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Si può solo provare sgomento nel commentare un'altra morte annunciata. Whitney Houston è stata trovata morta in un hotel di Beverly Hills: a 48 anni ha concluso il suo inferno personale e, per una triste coincidenza del destino, proprio alla vigilia della cerimonia del Grammy Award, l'Oscar della musica che nel 1986, a soli 23 anni, l'aveva consacrata come la nuova regina del soul pop mondiale. Ora il suo nome si aggiunge all'elenco infinito di catastrofi umane che, come una terribile maledizione, ha falcidiato i migliori talenti della musica nera. A rendere più atroce, e purtroppo prevedibile, la sua morte è il fatto che il suo declino sia avvenuto in diretta sotto gli occhi del mondo: il catastrofico matrimonio con Bobby Brown e gli scioccanti racconti della sua tossicodipendenza sono diventati oggetto di un reality, mentre l'industria del gossip si è arricchita pubblicando le foto impietose di una donna ancora giovane che un tempo era stata di una bellezza splendente trasformata in una barbona. Poi è andata in scena la solita trafila di percorsi falliti di riabilitazione, interviste-confessione con Ophra Winfrey, malinconici tentativi di tornare in tournee, concerti annullati, tristi performance. Nient'altro che un triste prologo alla solita morte nella camera di un albergo. Un disastro inarrestabile diventato materia per gli appetiti perversi del reality e del gossip che ha fatto troppo presto coniugare al passato una storia musicale fuori dal comune. Perchè nei pochi anni in cui è riuscita a controllare i suoi demoni, Whitney ha lasciato una traccia indelebile. Era una predestinata la povera Whitney Houston: sua mamma è Cissy Houston, grande cantante di gospel e voce importante della tradizione black, sua cugina è Dionne Warwick (cui somigliava per bellezza e naturale eleganza), Aretha Franklin è la sua madrina. E la sua voce, prima che fosse rovinata dal crack, era un dono di Dio. Dopo il tradizionale apprendistato nei cori della chiesa del New Jersey, lo stato dove era nata, la Houston viene scoperta da Clive Davis, uno dei nomi più influenti della storia della discografia. Il suo esordio è folgorante: nel 1985 piazza brani come How Will I Know, Greatest Love of All e Whitney diventa una star mondiale. Per il suo terzo album Ìm Your Baby Tonight, quello con I Wanna Dance With Somebody, Clive Davis organizza una presentazione nel castello reale di Monaco di Baviera, con lo stesso Davis a illustrare ai media di tutto il mondo i brani uno per uno. Whitney Houston sembrava davvero una regina. Era il 1990: il suo regno sarebbe durato ancora poco. Si può dire che il suo ultimo vero trionfo sia stato The Bodyguard, il film con Kevin Costner dove sostanzialmente interpreta se stessa. Un'interpretazione che si meritò un Razzy, ma il film sbancò i botteghini di tutto il mondo e la canzone I Will Always Love You è diventata un classico. Negli anni '90, senza rinunciare ai milionari cachet cinematografici, già sposata con Bobby Brown, prosegue la carriera senza toccare più le vette di un tempo. Poi comincia il declino. Whitney Houston ha venduto 190 milioni di copie, è entrata nel Guinness dei primati ed è una delle donne più premiate della storia della musica. Aveva una tecnica sovrannaturale e sul piano vocale era in grado di cantare praticamente qualsiasi cosa. Se aveva un limite, era proprio l'eccessivo controllo, la tendenza a far prevalere il virtuosismo sull'emozione. Generazioni di cantanti le devono moltissimo: è lei che ha fatto da trait d'union tra la tradizione e le nuove star alla Beyonce che oggi occupa con sicurezza e il suo talento innato per la spettacolarità il posto che è stato di Whitney Houston. Non resta che la pietà per una regina che si è lasciata morire in pubblico. Il fatto che il suo nome sia nel Guinness dei primati rende ancora più agghiacciante questa ennesima storia di gloria e di morte.  

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