Il Ris svela i pentimenti del Vate
Applicata alla «Gioconda» di D'Annunzio la tecnica usata per i dipinti. Ora si conoscono le parole cancellate
Sicché,appena vergata la parola fine, Vate e Divina se ne andarono in vacanza in Grecia e in Egitto e lui affidò in fretta il manoscritto al tipografo, che dovette sbrogliare la matassa di fogli pasticciati, zeppi di segnacci neri per cancellare una parola e sostituirla con un'altra, di graffe per inserire complicati incisi. Il Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera - la sua lussureggiante residenza ora museo e archivio dannunziano - conserva l'autografo. E il presidente della Fondazione Vittoriale, Giordano Bruno Guerri, si è chiesto, sfogliando le contorte pagine, che cosa passasse per la testa all'impetuoso intellettuale quando martoriava la propria ispirazione scegliendo una frase, una parola, al posto di un'altra. Ne ha parlato con Maria Giovanna Sanjust, italianista e filologa dell'Università di Cagliari (ha curato tra l'altro un'edizione delle Elegie dannunziane) chiedendosi di poter svelare i «pentimenti» del Vate, così come si fa per quelli dei pittori, le cui opere vengono passate al setaccio con moderne apparecchiature che scoprono che cosa c'è dietro la pennellata superficiale, e come l'artista aveva dipinto prima. Ovvio che nella ricerca, chiamata «Progetto Gioconda», dovessero venir coinvolti esperti. Sono stati i carabinieri del mitico Ris (Reparto Investigazioni Scientifiche) di Cagliari. Hanno messo a disposizione un «video comparatore spettrale» in grado di decifrare sovrascritture enigmatiche a occhio nudo. L'avveniristico strumento possiede dispositivi di analisi che utilizzano luce naturale, ultavioletta e a infrarosso. E ha così permesso di osservare abrasioni e cancellature: in sostanza quanto si nasconde dietro gli interventi operati dall'Immaginifico durante la stesura della «Gioconda». Dopo tre mesi di lavoro - che hanno impegnato il tenente colonnello Giovanni Delogu e il capitano Pietro Coli, rispettivamente comandante e responsabile della sezione impronte balistiche del Ris di Cagliari - il risultato: senza toccare l'integrità della carta e dell'inchiostro si sono letti tutti gli «strati» del manoscritto. Spiega Giordano Bruno Guerri: «Un risultato pioneristico importante perché non circoscritto alla tragedia. Questo metodo mai usato su un autografo diventerà prassi negli studi filologici mondiali. Il Vittoriale, insieme con l'ateneo cagliaritano, diffonderà le modalità del Progetto Gioconda nelle principali università internazionali. Certo, sarà sempre necessario un filologo capace di interpretare le correzioni. Ma noi, con l'uso del video comparatore spettrale, gli abbiamo indicato la strada per ottenere una ultravista pari a quella di un Superman. La tecnica appena testata ha due virtù: è veloce e precisa. I macchinari permettono infatti anche di datare i rifacimenti, insomma di individuare la cronologia dei "pentimenti"». Guerri s'entusiasma anche per un altro motivo. «Usare su un testo di D'Annunzio una tecnica avveniristica e mai adottata per altri autori è un omaggio alla sua modernità. Il Vate guardava al futuro, prefigurava strumenti avanzati. In pagine da lui scritte negli anni Settanta-Ottanta dell'Ottocento anticipa la nascita del fonografo e del cinematografo, ossia di strumenti che registrassero la voce e il movimento. La sua voglia di domani non si estrinsecò solo con lo spettacolare volo su Vienna. Egli testava gli aerei, dava suggerimenti all'industria dei velivoli, la Caproni. Inventava in ogni campo. Nel 1921 a Fiume, in occasione di una partita di calcio dei suoi Legionari, volle sulla loro maglia uno scudetto tricolore. Lo stesso che fu adottato cinque anni dopo dalla Nazionale Italiana di Calcio». Ma perché ha scelto «La Gioconda» per l'esperimento? «Perché - spiega Guerri - mostra più di mille correzioni, alcune effettuate in modo accanito. Una pesante barra nera sulla parola che non gli piaceva, non un semplice tratto di penna. Per esempio, ha sostituito eroico a furioso, una scelta che cambia completamente il senso della frase. Oppure, allorché il protagonista, che è uno scultore, comincia a lavorare di scalpello, ha usato la parola cubo al posto di masso». «La Gioconda», scritta nel 1898, debuttò nell'aprile dell'anno successivo al Teatro Bellini di Palermo con la Duse nei panni di Silvia ed Ermete Zacconi in quelli del marito Lucio Settala, l'artista che tenta in suicidio travolto dalla passione per la modella Gioconda Danti e che viene salvato dal sacrificio della moglie. Grande sfoggio di personaggi e giornalisti alla prima. I critici arricciarono il naso per l'eccessiva teatralità del testo. Ma la Duse incantò gli spettatori. Nonostante i pentimenti del suo Immaginifico amante.