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La Tomba del Somaro? Stava a Pineta Sacchetti

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Èun pezzo di Roma sparita. Uno squarcio di campagna ora mangiata dai palazzi. Uno zoom su un paesaggio più che agreste selvaggio, fatto ancora più misterioso da incombenti rovine. Ci sono due popolane sedute tra le frasche e un'altra che arriva ruspante a dorso d'asino e si ferma nel cono d'ombra di un monumento. Raffigura «La Tomba del Somaro nella Pineta Sacchetti» questa tempera attribuita a un francese attivo nella Città Eterna nel 1765. Uno dei tanti ospitati a Villa Medici, in quell'Accademia di Francia che accoglieva gli artisti del Grand Tour, venuti a studiare e a copiare l'antico. Rifanno statue e dipinti. E nelle vedute restituiscono come in foto Roma com'era. Da oggi in quel pozzo senza fondo che è il Museo di Roma a Palazzo Braschi - in uno dei posti più romani che ci sia, a ridosso di piazza Navona - ottanta tra acquerelli, disegni, dipinti illustrano la città tra fine '700 e metà '800. Sono lavori raffinati, usciti eccezionalmente dai depositi e provenienti dai fondi di illustri collezionisti che poi li hanno donati alla Capitale, come la contessa Anna Laetitia Pecci Blunt e il barone Basile de Lemmerman. Gli artisti? Granet, Nicolle, Ducros, Catel. Se ne andavano in giro sfidando l'insalubrità di certi luoghi infestati d'erbacce e di paludi ma nobilitati da vestigia romane. O girovagavano di notte, incuranti dei cattivi incontri. Ne escono scorci visionari o preromantici. Come appunto «La Tomba del Somaro», firmata da «Hubert delle rovine», come era chiamato Robert. «Tra i lavori in mostra quelli su carta sono di estrema fragilità, tanto da richiedere particolari cautele conservative», ha detto la curatrice Simonetta Tozzi. È pur vero che sono al sicuro nei depositi del museo, che vanta «una raccolta di 150.000 opere», ed esposti al pubblico solo in occasioni particolari. Ma questa rassegna, intitolata «Luoghi comuni» (fino al 27 maggio) è la prima di un progetto che allestirà acquarelli e grafica di artisti inglesi e quindi tedeschi. Del resto, scopo di questo ciclo di mostre è illustrare come vivevano e lavoravano a Roma le molto estese e prolifiche comunità di pittori stranieri. Anche fuori città gli artisti facevano pellegrinaggio culturale. Ecco la grotta di Nettuno di Villa Gregoriana a Tivoli, dipinta da Ducros come la valle di Ariccia, tra le più amate dagli artisti stranieri o le paludi pontine, che proprio il pittore franco-svizzero raffigura durante una delle frequenti visite di Pio VI in un imponente dipinto. Ci sono, di un anonimo, l'immagine di Ponte Milvio che si staglia in un paesaggio campestre. Ma ecco anche le feste di carnevale negli acquerelli di Thomas. Quando «semel in anno licet insanire«. Con la benedizione di Papa Re. Lidia Lombardi

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