Peggy l'eccentrica sbarcata a Venezia
Ecosì, all'inaugurazione newyorkese della sua mitica galleria «Art of This Century», Peggy Guggenheim si presentò con due orecchini diversi: uno del surrealista Tanguy e l'altro dello scultore americano Calder. Era fatta così, imprevedibile, estrosa, vulcanica. Aveva chiesto di progettare la galleria all'architetto visionario Frederick Kiesler e ne nacquero spazi assolutamente anticonformisti in cui le opere erano sospese nel vuoto. Durante il suo precedente soggiorno parigino Peggy aveva seguito un programma ferreo, «comprare un quadro al giorno», soprattutto surrealisti. E il motto della sua nuova galleria newyorkese era «Servire il futuro anziché documentare il passato». Mentre il Museum of-non Objective Painting era una sorta di tempio laico, il suo spazio espositivo era aperto alle contaminazioni e agli incontri di tutti i generi, come un luogo di ritrovo per artisti, critici, collezionisti, bohémiens. Solo così poté avvenire, in tutta naturalezza, l'incontro fra i maestri europei e i giovani americani. E fu proprio il grande ed ammirato Mondrian, durante una giuria convocata nella galleria di Peggy, a restare colpito da un quadro del giovane e sconosciuto Pollock, di cui intuì le doti eccezionali. E fu ancora qui che le due star della critica americana, Clement Greenberg ed Harold Rosenberg, vennero per la prima volta a contatto con i quadri dei futuri espressionisti astratti. Peggy acquistò molte opere durante queste mostre e continuò a farlo anche dopo il suo ritorno in Europa, nel 1947. Nel 1949, un anno dopo aver esposto la sua leggendaria collezione alla Biennale di Venezia, acquista Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande, vi installa la collezione e la apre al pubblico con un grande festa. La festa dell'arte. Gab. Sim.