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Addio Ben Gazzara

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Finisce una storia di ordinaria follia Adorato dai registi ha lavorato molto in Italia dalla «Ragazza di Trieste» al «Camorrista»

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Chissàquante volte ha fatto questo giochetto Ben Gazzara, sfruttando lo sguardo magnetico e l'abilità consumata del mattatore dello schermo. La sua capacità di esprimere una gamma infinita di emozioni così, solo con lo sguardo, gli ha dato una carriera piena di soddisfazioni. Ben Gazzara è morto l'altro giorno a New York, aveva 81 anni. Era amatissimo dai registi che vedevano in lui un interprete «sicuro», uno al quale poteva essere affidato qualunque ruolo con la certezza che avrebbe trovato la «chiave» interpretativa giusta. Il primo ad apprezzarlo fu Otto Preminger, poi John Cassavetes e anche tanti italiani: Marco Ferreri («Storie di ordinaria follia»), Pasquale Festa Campanile («La ragazza di Trieste») e Giuseppe Tornatore che lo volle per il suo esordio nell'86 con «Il camorrista». Biagio Anthony (questo il suo vero nome) nato il 28 agosto 1930, figlio di emigrante siciliano di Canicattì e cresciuto nella violenza urbana dell'East side di New York, venne spedito a forza dai genitori prima a scuola e poi alla facoltà di ingegneria nella speranza, tutta da immigrati, che il ragazzo faccia una vita migliore dei genitori. Ma Ben è irrequieto, sente il vento di rivolta del Dopoguerra e molla gli studi per il teatro. Sarà la cosa giusta. Viene subito ammesso nella compagnia teatrale di Erwin Piscator, due anni dopo all'Actors Studio e infine alla grande scuola di Broadway, dove debutta con applauditissimo «La gatta sul tetto che scotta», diretto da Elia Kazan. Ma imparerà presto la dura legge dello spettacolo, perchè dopo una candidatura ai Tony Awards, si vedrà sostituito dal più celebre Paul Newman nella versione cinematografica. Ma si sarebbe rifatto presto. Debuttò sul grande schermo nel '59, nel ruolo di un tenente accusato di omicidio nel film del regista austriaco Otto Preminger «Anatomia di un omicidio». Continua ad essere irrequieto: torna nella sua Italia, a Roma, e dopo aver rifiutato parti importanti perchè gli sembravano «poco impegnate», dice sì a Mario Monicelli per apparire accanto a Totò e Anna Magnani in «Risate di Gioia», del 1960. Torna negli Usa, amico di John Cassavetes, si scopre un intellettuale nella Los Angeles tutto cartone e Technicolor ed è al posto giusto quando parte la moda della «nuova Hollywood» colta e ribelle. Lavorerà per tre volte con Cassavetes: «Mariti» del '70, «Assassinio di un allibratore cinese» ('76), «La sera della prima» ('77), con Gena Rowlands. Da quel momento tanti successi e anche alcune esperienze come regista.

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