La Seconda Repubblica che non arriva mai
All'inizio,era il '92 o giù di lì, quella parola faceva un po' sorridere. «Come Paperopoli?» scherzava qualcuno. Ma poi il termine prese piede e finì in prima pagina tutti i giorni. «Tangentopoli», effettivamente però, rimase un po' Paperopoli, perché nonostante gli arresti, i drammi, il lancio delle monetine quello che è cambiato veramente in Italia da allora è poco o niente. È la tesi amara, ma ben circostanziata, del saggio «Eutanasia di un potere», di Marco Damilano, Editori Laterza, 18 euro, 327 pagine. Damilano, blasonato giornalista, propone il suo libro come un «ponte» tra la Prima e la Seconda Repubblica, ma vuole fare più che raccontare una semplice ricostruzione degli anni '90. L'autore, prima di tutto, cerca di capire il passato. Le più importanti forze di governo, la Dc e il Psi, i loro leader: Craxi, Andreotti, Forlani, investiti dal treno delle inchieste si comportarono come se fossero eterni. Ripercorrere quel biennio significa fotografare l'eutanasia di un sistema che si percepiva immortale: i sussulti, i drammi, le miserie, le zone grigie, le nobiltà, i colpi di coda, la resistenza del vecchio a finire, le difficoltà del nuovo a nascere. E poi Damilano, dal collasso della Prima, tenta di spiegare le ragioni dell'agonia della Seconda Repubblica, giunta, col governo Monti, ad una nuova stagione. E fa vedere anche che l'esasperazione del conflitto tra politica da un lato e magistratura e media dell'altro, leitmotiv del ventennio berlusconiano, è il risultato di una mancata rivoluzione e della resistenza di vecchi poteri che si pensava sarebbero stati spazzati via e che invece sono rinati sotto altre forme. Sì, di fatto la Seconda Repubblica è nata zoppa, orba o forse addirittura morta: insomma stiamo come prima. Il libro è articolato con una serie di testimonianze di chi quell'epoca l'ha vissuta, anzi, ne è stato protagonista. C'è l'intervista ad Antonio Di Pietro, (dal curioso titolo «Il mio sponsor fu la Fininvest»), nella quale l'ex pm simbolo del pool di Mani Pulite racconta l'incontro con Berlusconi che, nel '94, gli propose il Viminale per «eliminare l'investigatore che poteva arrivare a lui» e per «far passare l'idea che il suo era il governo di Mani Pulite». Carlo De Benedetti, definito da Craxi: «Un unico mascalzone grandissimo, incommensurabile e recidivo», viene presentato come l'unico vero oppositore di Berlusconi. L'Ingegnere racconta la sua versione sulle vicende di quegli anni, dalla battaglia sulla Mondadori ai guai giudiziari, alle confessioni sulle elargizioni della Olivetti, fino alle sue considerazioni sul Cavaliere: «L'unico che ha tratto vantaggio dall'operazione Mani Pulite». C'è poi Giulio Anselmi che, in un'altra intervista, racconta i mesi di direzione ad interim del Corriere della Sera tra il febbraio e il settembre '92, quando, a dispetto delle pressioni politiche, il quotidiano, a suon di articoli ed editoriali, si tirò dietro le maledizioni dei politici. «Verrà il suo giorno, qualcuno le farà pagare il sabato», è l'avvertimento, garbato, che Anselmi ricorda di aver ricevuto da Giovanni Spadolini. Craxi fu più Craxi: «Dopo le elezioni verrò lì e la butterò giù dalle scale a calci». Quello che accadde, veramente, dopo lo sappiamo tutti. Tra gli ultimi capitoli l'ascesa politica di Berlusconi, a partire da quell'intervista rivelatrice del '77 di Mario Pirani su La Repubblica dal titolo: «Quel Berlusconi l'è minga un pirla», per arrivare alla nascita di Forza Italia. E l'autore sembra interrogarsi: «Ma questa Seconda Repubblica, quando arriva?»