Giacomo Leopardi nell'anno di Grazia 1823 era venuto a svernare a Roma.
Macché.Nella caput mundi incappò in un inverno per niente mite. Nevicò due volte, a dicembre e a gennaio. Giacomo si trovò a lottare contro i geloni ai piedi. Costretto a casa, e non certo un alloggio confortevole. Perché la sua stanza in palazzo Antici Mattei - la casa al numero 32 di via Caetani dove lo ospitò lo zio Carlo Antici - «era poco più di una soffitta». Lo annota Giulia Alberico nella prefazione alle «Lettere da Roma» di Leopardi raccolte e recentemente pubblicate dall'editore Lozzi. Insomma, i quattro mesi passati nella città del Papa - dal novembre 1822 all'aprile 1823 - sono deludenti per il giovane intellettuale marchigiano. Al padre, al fratello e alla sorella invia lettere seccate. La città gli sembra troppo vasta e ostile agli incontri. E i romani decisamente antipatici. Per spocchia e per vacuità. Il freddo terribile poi è «sicuramente reale ma anche metafora del suo sentire la città», annota Alberico. Un gelo che lo insegue anche nelle occasioni più gradevoli, le visite nelle chiese o le serate ai teatri Valle e Argentina. Quando si imbiancò la Capitale in quel duro inverno? La prima volta il 19 dicembre. Giacomo lo riferisce al padre Monaldo in una lettera datata 20 dicembre 1822. Gli riferisce di certe commissioni svolte per lui, come la ricerca di un manoscritto su San Girolamo. E in conclusione annota: «Abbiamo qui un freddo tale che in tutto l'anno scorso non si provò il simile a Recanati; e ieri nevicava. Ma io m'ho riguardo e, grazie a Dio, sto benissimo». Malconcio, ma più poetico, il 4 gennaio successivo. Ancora una missiva al conte padre. Giacomo resta chiuso in casa, «stando con due piaghette l'una alla mano e l'altra al piede, molto irresoluto s'io le debba medicare o no, e che cosa converrebbe metterci». E poi: «Il freddo qui è mitigato, ma pare presto voglia riprendere il suo rigore. Mercoldì Roma era bianca dalla neve...». Lidia Lombardi