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Le magie della Carnegie Hall

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Peter Tiboris

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È un personaggio di quelli che non ti stancheresti mai di ascoltare e un musicista a tutto tondo l'americano di origini greche Peter Tiboris, già applaudito a Roma sul podio de Le Corsare e ora in Italia per una serie di serate (dal 18 al 23 febbraio) di balletti béjartiani a Verona. Tiboris non è solo un valente direttore d'orchestra, ma un altrettanto valido imprenditore musicale presente da decenni alla Carnegie Hall di New York, direttore artistico di un singolare festival musicale nel mar Egeo e persino collezionista di cimeli musicali tra cui le bacchette di Toscanini, quella di Bernstein in avorio con una testa di leone di ambra per impugnatura, di Chopin in ebano nero e di Sinopoli, la prima edizione del Don Giovanni e dello Stabat Mater di Rossini.   Perché è così importante la Carnegie Hall? La Carnegie Hall è una sala unica, acusticamente e architettonicamente. Ma la sua unicità è nella sua storia. È stato costruito da Andrew Carnegie nel 1891 e per primo ci ha diretto Ciaikovsky, poi Strauss e ha visto prime di Dvorak, Strawinsky, Schoenberg, Ives, Gershwin, Bartok sino a Glass e Adams. È stata costruita con 800 mila dollari, oggi una vera fortuna. Per un secolo ci sono state due sale, cui si è aggiunta una terza più piccola di 300 posti una decina di anni fa. È l'ideale per musica sinfonica e da camera. Vi si sono esibiti i più grandi artisti da Bernstein a Caruso, Karajan, Mitropoulos, Furtwaengler, naturalmente Toscanini con la orchestra della NBC e persino Mahler per quattro anni. Lei è da molti anni presente nella Carnegie Hall. Con quale ruolo? La Mid American Production ha tenuto 550 concerti nella Carnegie. È la più grande compagnia produttrice di musica. La Carnegie non ha un direttore artistico, ma viene noleggiata volta per volta. Dopo la New York Philharmonic la Mid American è la più attiva alla Carnegie. Io dirigo la Manhattan Philharmonic, numero due a New York. Il posto che mi mette più ansia come direttore è la Carnegie. Ogni concerto è un debutto lì. Com'è il pubblico americano? E qual è il segreto del successo di un produttore come lei?  È molto conservatore, sente Beethoven a casa e lo vuole risentire in sala. È poco aperto al contemporaneo. A Manhattan vivono dieci milioni di persone e due milioni di turisti ci transitano ogni giorno. Dunque non posso avere paura di riempire tremila posti. Qualche aneddoto?  Moltissimi. Ricorderò solo Bruno Walter che aveva un gesto molto contenuto, nel dirigere l'orchestra. Un contrabbassista per fargli notare che non lo vedeva, inforcò il binocolo per scherzo non potendo protestare. Dopo la pausa Walter attaccò alla bacchetta un piccolo foglio. C'era scritto: «Sei fuori, sei spacciato». Un'altra volta Karajan durante le prove con i Wiener nel 1977 ebbe l'impressione di una sorta di terremoto. Gli spiegarono che era la metropolitana che passava sotto il teatro. Disse tranquillamente: fermate la metropolitana. E poi Horowitz. Cosa fece? Tutti i pianisti si affidano allo Steinway che troneggia da decenni alla Carnegie. Solo Vladimir voleva esibirsi con il suo pianoforte personale. Abitando al Dakota House, lo stesso condominio davanti al quale fu ucciso John Lennon, faceva calare lo strumento dal quarto piano, fuori dalla finestra. Una volta in sala lo faceva spostare qui e là finché non trovava il giusto punto per il suo suono. Alla fine due dipendenti segnarono due «H» sul palco, la posizione perfetta per Horowitz. Lettere ancora leggibili, su quegli assi.   Quante orchestre ci sono a New York e quali i legami con le scuole di musica? Ci sono 22 orchestre sinfoniche e lavorano a tempo pieno. I legami sono stretti, molti professori di orchestra insegnano alla Juilliard School al Lincoln Center. È la sala che fa il direttore, o il nome del direttore che fa la sala? La sala. Chiunque è venuto alla Carnegie ha ricevuto la sua consacrazione, anche i Beatles. È come la Scala. La Carnegie Hall non ospita solo musica classica, ma anche jazz, pop e altro. Sì. Da noi le barriere tra i generi sono state abbattute da decenni anche al Metropolitan. È un tempio della musica. I prezzi non sono sempre popolari, ma ci sono facilitazioni per i giovani. New York è una città costosa. L'emozione italiana più grande? Aver diretto il Requiem di Cherubini nel Duomo di Monreale.   È vero che lei dirige anche un Festival musicale dell'Egeo?  Le mie origini sono greche, così la mia famiglia e da 35 anni ci torno in Grecia, dove mi sento a casa. Vicino Mikonos scoprii l'isola di Syros, capitale delle Cicladi, che ha un bellissimo Teatro dell'Opera, costruito da italiani sul modello della Scala nel 1864. Nel 2005 ci ho diretto «Il barbiere di Siviglia». Nel soffitto ci sono medaglioni dei compositori, ma non c'erano Beethoven o Bach, bensì Bellini, Verdi, Donizetti e Rossini, oltre a Dante e Mozart, che ha scritto opere italiane. E altri tre medaglioni al centro rappresentavano Omero, Eschilo ed Euripide per accontentare i greci. Del resto senza i greci non ci sarebbe stato il teatro e senza il teatro non ci sarebbe stata l'opera lirica.  

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