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Il Michelangelo caduto dal cielo

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Antonioni autore di film indimenticabili Con lui gli attori davano sempre il meglio

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EAntonioni, più di tutti, l'ha fatto con volontà, dal «di dentro» trovando, nella chiave della regia dei suoi film, ma anche come sceneggiatore e scrittore, un modo nuovo ed entusiasmante di vedere le cose. Quest'anno si celebra il centenario della nascita del regista, nato a Ferrara e legatissimo alle sue origini, ma da sempre cittadino del mondo. Per il regista, dalla sua città natale a Roma e ad altre regioni italiane ricordi ed omaggi. Celebrazioni anche nel mondo: lui, Michelangelo, che ci ha salutati con il bellissimo ed enigmatico documentario «Lo sguardo di Michelangelo», sul Mosè del Buonarroti, superò da subito i confini del nostro Paese. Ma chi era Antonioni, con questo nome di battesimo così importante, che sembrava destinarlo ad una vita impegnativa, cosa inevitabile per gli angeli che cadono (o volano giù) dal cielo? E soprattutto: come ha fatto a conquistarsi affetto e stima da tutto il mondo? Antonioni nacque il 29 settembre del 1912 a Ferrara. Si laureò a Bologna in Economia e Commercio, ebbe alcune esperienze in teatro, e presto presto iniziò a lavorare come critico cinematografico al «Corriere Padano» e per altre testate, ma era chiaro che la poltrona di spettatore, al cinema, era per lui scomoda. Si trasferì a Roma, per frequentare quella fabbrica di geni che sarà il Centro sperimentale. I primi lavori con Rossellini. E si vede: già dai primissimi «colpi di manovella» è evidente la mano originale e sicura. Nella sua terra realizza il primo documentario, «Gente del Po», siamo nel 1947. Dopo la guerra come sceneggiatore lavora a «Caccia tragica», di Giuseppe De Santis (1946) e allo «Sceicco bianco» di Fellini (1952), un altro maestro dal quale imparerà tanto, ma dal quale non si farà ammaliare. Antonioni avrà sempre un carattere «suo». Non sarà mai simile a nessuno. Il suo primo film, «Cronaca di un amore» è del 1950 e si porta dietro tutta l'eredità del Neorealismo, chiudendone in pratica la stagione. Si rivelano già le straordinarie capacità del futuro autore dell'«Avventura»: dietro a tutto una storia che ha un vago sapore di mistero, il lavoro profondo sui risvolti psicologici dei suoi personaggi borghesi. Antonioni non crea solo storie, ma persone vive, situazioni, drammi. Tutti reali e tutti contemporanei. Seguiranno «I vinti», del 1952, sulla crisi della gioventù europea (che lui aveva veduto con parecchio anticipo), e «La signora senza camelia» (1953) sulle contraddizioni del mondo del cinema. «Le amiche» (1955) e «Il grido» (1956) segnano gli ultimi passi prima di «spiccare il volo» con una trilogia che, ancora oggi, crea emozione e contrasti. Nel 1959 arriva «L'avventura». Per tutti è il suo capolavoro, ma la prima accoglienza fu gelida; a Cannes si azzuffarono: per certi una bufala, per altri è la rivelazione di un autore unico. Certo è che Antonioni è un regista raffinato e poetico che avrà, da quel momento, sempre più consensi dalla critica e un rapporto controverso con il pubblico. Antonioni ama le raffinatezze psicologiche, ha uno stile fantasioso, e, nell'epoca dei kolossal americani, è minimalista e tagliente. C'è chi lo accusa di essere «lento», «lungo» e anche «noioso». Gli stessi aggettivi sono stati spesi, da ripetenti che festeggiano al bar la loro bocciatura, per Eisenstein, Bergman, Truffaut. Insomma Antonioni è in buona compagnia. All'«Avventura» fanno seguito «La notte» (1960) e «L'eclisse» (1962) che, oltre a dipingere un grande trittico del cinema italiano, rinsaldano il legame, personale e professionale, con Monica Vitti, protagonista di tutti e tre i film. «Deserto rosso», del 1964, sempre con Monica Vitti, segnerà il passaggio del regista al colore. E anche qui qualcuno storcerà il naso. Ma lui, Antonioni, continua a rimanere se stesso e ad evolversi, tecnicamente e stilisticamente: allarga l'orizzonte dalla borghesia italiana al mondo con «Blow up», del '66, ambientato in Inghilterra, «Zabriskie Point» (1970) nell'America della contestazione giovanile e che si chiude con un pezzo dei Pink Floyd. Le grandezze di Michelangelo sono state tante, la sua più grande quella di saper «tirare fuori» il meglio di ogni persona: l'anno scorso, il 3 febbraio, se ne andava una delle sue muse: Maria Schneider, amante di Jack Nicholson in «Professione: reporter» del '75. Fu la sua interpretazione migliore. Nei primi film di Antonioni un Tomas Milian che, mai nessuno, poteva immaginare con un futuro da «Er Monnezza». Antonioni è stato anche uno sperimentatore: pioniere del magnetico con «Il mistero di Oberwald», del 1980, la curiosità lo portò anche a realizzare il videoclip «Fotoromanza» con Gianna Nannini. Nel 2004 «Lo sguardo di Michelangelo», quindici minuti a tu per tu con il Mosè del Buonarroti. Morirà il 30 luglio 2007.

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